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Battesimo del Signore

Dal Vangelo secondo Luca 3, 15-16. 21-22

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Anno C – Lc. 3, 15-16; 21-22 – 7 gennaio 2001

E’ certamente un evento di Gesù, quello che ricordiamo oggi nella liturgia, ma è anche un evento per noi, che siamo chiamati a diventare figli in lui. Riflettiamo allora su questi due aspetti della liturgia di oggi.
Ogni anno ripetiamo lo stesso rituale di memoria del battesimo di Gesù, ma ogni anno ciascuno di noi porta qualcosa di diverso, secondo i processi che ha vissuto durante l’anno. Così i gesti liturgici possono essere gli stessi, ma i messaggi che trasmettiamo coi gesti, e quindi i messaggi che riceviamo nel rapporto con tutti gli altri fratelli, sono diversi, perché ciascuno di noi esprime la propria vita, se vive la liturgia, per cui c’è qualcosa di nuovo che circola tra di noi. Ve ne accorgete anche voi, quando si celebra una liturgia con coinvolgimento personale e quando invece si rimane in superficie, anche cantando o restando in atteggiamento devoto, ma senza che la vita dica qualcosa di nuovo.
Per questo io richiamo spesso l’esigenza di fare della nostra eucaristia l’espressione della vita e non semplicemente la manifestazione della nostra amicizia o della gioia dell’incontrarsi. C’è qualcosa di più, c’è l’azione di Dio da accogliere e da esprimere, cioè la novità della vita da tradurre in gesti ora sì di fraternità, di misericordia, di perdono reciproco e di amicizia. Ma allora è qualcosa di più grande che si esprime attraverso i nostri gesti.
Questo vale evidentemente per tutti i sacramenti, ma oggi vale in modo particolare perché celebriamo un momento decisivo della vita di Gesù e una dimensione costitutiva della nostra realtà personale: il valore della nostra esperienza di ogni giorno o della nostra esperienza terrena.

Il battesimo nella vita di Gesù.

Sapete l’importanza che ha avuto il momento del battesimo per la piccola storia di Gesù. Piccola secondo le valutazioni esteriori: un artigiano che a trent’anni decide di andare per un po’ di tempo nel deserto da un predicatore per ascoltarlo, per decidere qualcosa della sua vita. Qualcosa che stava già maturando, certo, perché non sono cose improvvise, queste. Valutava la situazione del suo tempo, capiva che era un momento critico – cioè di passaggio, di transizione per una forma nuova – avvertiva che c’era una decisione da prendere, non solo personale, ma che coinvolgesse tutto il popolo. Ma che cosa fare?
Le decisioni che maturano dentro di noi non sono subito chiare, perché la grazia di Dio può utilizzare solo gli strumenti che ci costituiscono, quindi le nostre esperienze passate, la cultura che abbiamo, le immagini interiori che portiamo dentro, il linguaggio che usiamo. Non cade dal cielo, la vita, fiorisce dentro e fiorisce secondo le strutture che noi portiamo.
Anche per Gesù questo vale. Non partite dal presupposto che Gesù sapeva già, perché è sbagliato: Gesù ha camminato nella fede, quindi si poneva i problemi, le cose si chiarivano progressivamente dentro di lui. Come dice Luca: “Cresceva in sapienza, età e grazia” (Lc. 2,52). E crescere vuol dire che c’erano degli sviluppi reali nella sua vita.
Dunque non appariva con chiarezza subito cosa fare. Avvertiva che occorreva riflettere, confrontarsi, ascoltare. Per questo va da Giovanni e diventa suo discepolo. I vangeli sinottici non sviluppano molto la narrazione di questo periodo, dicono solo che è stato battezzato. Invece nel Quarto Vangelo appare anche una fase di ascolto, una fase in cui Gesù si è fermato presso Giovanni. Anzi, stando con Giovanni ha fatto delle amicizie: due coppie di fratelli che diventeranno i suoi primi quattro discepoli. Quindi Gesù resta del tempo con Giovanni a riflettere, a confrontarsi. E poi si sottomette al battesimo, che era un rito di conversione.
Anche qui, potrebbe essere solo un rito esteriore, “lo facevano tutti”, dice Luca. Ma il punto è: quale atteggiamento Gesù aveva nel sottoporsi a questo rituale del battesimo nel Giordano?
Certo io non so darvi una risposta a questa domanda, però credo che ciascuno di noi è in grado di formularne una in rapporto a Gesù. Naturalmente la formulerà in base a ciò che vive, perché noi non possiamo capire la vita se non partendo dalla nostra esperienza. Ogni nostra valutazione contiene la proiezione della nostra vita, questo non può esser evitato; quindi anche nel cercare di capire Gesù noi portiamo noi stessi. Allora cerchiamo di penetrare questa decisione che Gesù prende.
Dopo il battesimo Gesù si ritira in preghiera. Ed è proprio mentre è in preghiera che avviene l’esperienza dell’incontro col Padre, che qui Luca descrive con elementi esteriori: il cielo che si squarcia, la colomba, la voce… E’ un’esperienza mistica, un’esperienza che molti altri santi hanno compiuto nella storia. Io non so descriverla, ma cerchiamo di immaginarcela. Cerchiamo anche di riviverla, in certi momenti di preghiera o di interiorità: accompagniamo Gesù a pregare dopo il battesimo e cerchiamo di far risuonare in noi quello che ha vissuto in quel momento. Stava maturando una decisione e la decisione si esprime diventando parola in lui, diventando forza di vita (lo Spirito è un simbolo della forza di vita), scoprendo la propria condizione filiale: “Tu sei mio figlio, in te mi sono compiaciuto”.
E’ la risonanza di una chiamata, di quella chiamata che lo condurrà poi, attraverso i sentieri tortuosi della storia degli uomini, alla croce e al sepolcro. Ma la chiamata non era alla croce e al sepolcro, la chiamata era alla vita, all’identità di figlio, a quel nome che gli era riservato per sempre, quello di cui parla l’inno cristologico della lettera ai Filippesi: “Gli fu dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil. 2,9), che è il nome di Signore, che è il nome di Messia, che è il nome di Figlio. Quel nome gli sarà affidato pienamente al compimento del suo lungo cammino, nella sua ultima Pasqua. Nel giorno del battesimo quel nome risuonò di lontano, come un’eco: non era ancora in pienezza, però risuonava dentro e chiamava a un cammino.
Non era ancora chiaro il cammino. Infatti Gesù – lo vedremo all’inizio della Quaresima – si ritirò per lungo tempo a pregare e a riflettere nel deserto. Perché le decisioni importanti, lo sappiamo, maturano lungo un tragitto a volte sofferto, anche tenebroso a volte, solitario spesso, perché nessuno ci può accompagnare nel decidere la nostra vita. Possiamo confrontarci, possiamo metterci in ascolto, ma la decisione è solo nostra.
Il cielo dunque si squarciò, la luce lo inondò e Gesù decise il suo cammino.
Questa esperienza Gesù la ripeté più volte, per esempio sul Tabor, in un altro momento critico in cui era necessario prendere una decisione. E anche lì il nome risuona, il compiacimento di Dio si esprime e Gesù prende la sua decisione: “si diresse decisamente verso Gerusalemme” (Lc. 9, 51).

I momenti di rivelazione nella nostra vita.

Anche nella nostra vita ci sono questi momenti in cui il cielo si squarcia e una tenebra che era durata forse lunghi tempi – forse dall’inizio della nostra vita procedeva così, non avevamo capito molte cose – si dissolve. E una luce irrompe: vediamo le cose in un modo completamene diverso, quello che prima era importante cessa di essere significativo, qualcosa riempie l’orizzonte della nostra piccola storia.
Anche per noi la luce che ci avvolge è in funzione di una decisione da rinnovare. Anche per noi non sempre è chiaro il traguardo. Anzi, il traguardo non è mai chiaro, perché è sempre oltre, quindi non possiamo avere la presunzione di sapere cosa ci attende. Ma la direzione verso cui andare quella sì la percepiamo. Ed è questo il senso delle decisioni di fedeltà che si rinnovano nella nostra vita. Non vuol dire che sappiamo dove andiamo, vuol dire che sappiamo verso Chi stiamo andando e soprattutto sappiamo quale forza ci conduce, ci attraversa, ci consente di decidere il grande viaggio, di iniziare e di procedere nel faticoso cammino. Questo lo sappiamo: è il suo amore, è la forza di vita che ci attraversa, è la sua presenza che rende possibile ogni nostro pensiero e desiderio.
Se siamo qui è perché ad un certo momento abbiamo deciso di seguire il Signore. Nella confusione spesso, nella incongruenza di vita, ma certamente abbiamo già deciso il nostro orientamento. Si tratta solo di mantenere fedeltà a questa decisione, di rinnovarla ogni volta che si presentano l’incertezza e la difficoltà. E questo è possibile anche per noi, quando nel silenzio della riflessione e nella preghiera il cielo e squarcia e una voce anche per noi ripete un nome, che è il nome del figlio.