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ARTURO PAOLI Lettera ai Giovani (Aprile 1999)

Riuscendo a fabbricare la vita ci si libera da ogni dipendenza

Ho sul tavolo lettere di giovani che mi interpellano. Una delle ultime confessa l’angoscia suscitata dalla guerra scatenata sull’altra spiaggia dell’Adriatico: “Possibile che non vi sia altro modo di risolvere i conflitti se non le armi?” La mia risposta é che non esiste altro modo: la società neoliberista non può trascurare le esigenze del dio-mercato che attende le entrate computerizzate dalla vendita di armi, e per questo bisogna aprire mercati di sangue. La seconda ragione é che il mondo cristiano ha prodotto la carta dei diritti umani, ma non é stato in grado di creare un’etica. I diritti sono delle formulazioni astratte basate sulla parità di tutti gli uomini esistenti sulla terra, non tenendo conto delle differenze esistenziali, culturali, economiche. L’esperienza di secoli dovrebbe averci convinto che le leggi si fanno per essere trasgredite. Allora non si dovrebbero varare delle leggi? Si. Ma bisognerebbe formare in ogni uomo un atteggiamento di amore-odio verso le leggi, e questo atteggiamento per me si chiama etica. L’etica non può nascere da legislatori, ma dallo svolgersi della vita. Noi cristiani avevamo due possibilità di scelta: o la grande tradizione greca che ha prodotto trattati di etica immortali (basti pensare all’etica di Nicomaco di Aristotele), o scegliere il metodo del Fondatore del cristianesimo trasmessoci dai Vangeli. Abbiamo preferito la prima, più nobile, capace di qualificare la mente, apparentemente lontana dai conflitti, e in armonia con l’otium dei contemplativi e degl’intellettuali. La lontananza dal lavoro del volgo tanto raccomandata dal medioevo in poi.

Gesù di Nazaret svolge con assoluta coerenza il programma di infondere la vita dove l’uomo produce morte. Piuttosto che insegnare chi é Dio, vuole dare Dio, la sua vita. Lo svolgimento di questo programma lo rende avversario di tutti coloro che inseguono progetti ispirati dall’egoismo, dall’istinto di potere e realizzano i loro sogni senza badare alle conseguenze, muoia chi muoia. E alla realizzazione dei loro piani piegano le leggi, persino leggi sacre, come il  decalogo che per gli Ebrei é Dio che si rivela al popolo. Gesù non si lascia arrestare dal timore sacro di disobbedire a Dio, perché sa che Dio é dove si da creazione, rigenerazione di vita. Leggendo attentamente i Vangeli, nasce spontanea una domanda: “Gesù é un uomo religioso o un guaritore?” Solo una persona della nostra cultura dualista può formulare questa domanda. Gesù suscita un grido di fede e l’apertura di tutto l’essere a ricevere la vita nel corpo devastato di un lebbroso, o nel paralitico condannato all’immobilità del cadavere che incontra giacente nella sua branda presso la piscina del tempio. L’etica non é astratta, é guida dei comportamenti umani nelle varie attività, dall’economica alla politica all’erotica alla ludica. Noi che abbiamo una missione pedagogica ve lo abbiamo sempre detto, cari giovani, ma abbiamo culturalizzato  il Vangelo da rendere possibile ai credenti di essere religiosi senza seguire un’etica, spesso tanto più religiosi quanto meno etici. E’ il fatto, non ha bisogno di dimostrazioni perché sta alla radice del disagio che voi spesso accusate, almeno quando vi sciogliete da un sacro timore.

I vescovi italiani vi hanno scritto recentemente: “Non abbiate paura di noi”. E questa confessione insolita appare coraggiosa, poi bisogna spingere il coraggio ad analizzare il perché di questa paura che in altre parole é mancanza di fiducia. E mi pare riposi nel fatto che vi scoprite religiosi e non orientati a tirarvi fuori dalla complicità con una società di morte. Anzi spesso nelle manifestazioni del tempio vi siete sentiti coinvolti in questa complicità. Questo finalmente é il grande problema che deve risolvere la nostra Chiesa. A voi spetta la responsabilità di pensare una società nuova, non partendo dalle dottrine sociali, dalle ideologie, ma dai bisogni, dalle carenze  di vita. E’ un momento buono perché vi trovate all’epilogo catastrofico di una storia che ha voltato le spalle sistematicamente alla vita, sperando di fabbricarla, perché il riceverla voleva dire farsi responsabile verso l’affidatario. E riuscendo a fabbricare la vita ci si libera per sempre da ogni dipendenza. Non accettate consigli da nessuno, accettate invece gl’inviti ad accompagnare qualcuno che vive l’utopia di farsi portatore di vita, là dove gruppi di ubriachi furiosi hanno seminato e continuano a seminare morte. Solo lì a contatto con la morte riuscirete a credere, a credere fortemente che la vittoria sarà della vita. E scaldati da questa fede, potrete assicurare la continuità della storia.

Arturo Paoli