Non voglio altro che svegliarmi e correre al cantiere navale. Sono le parole di Giordano all’alba del suo primo giorno di lavoro e della sua seconda vita. Giordano Piovesan, triestino trapiantato a Viareggio, ha vissuto in strada l’ultimo anno e mezzo della sua vita, con una sola coperta addosso e un cartone per materasso. «Cercavo i sottoscala, le panchine dove non c’erano i lampioni, meglio i topi che gli occhi della gente. Ho lavorato per tredici anni nei cantieri navali, poi sono iniziati i contratti a termine e quando sono finiti non ho più trovato un posto di lavoro. Così è saltato tutto, l’amore, la casa, gli amici, il conto corrente». La sua vita di clochard è stata raccontata sulle pagine del quotidiano Il Tirreno. Michele Parini, amministratore di un cantiere navale in provincia di Pisa, dopo aver letto l’articolo, ha scritto alla redazione per mettersi in contatto con Giordano. «Sono andato a prendere un caffè con lui perché volevo conoscerlo e parlargli. Mi è piaciuto per la dignità con cui affrontava la sua sofferenza. Dopo avere parlato in azienda con i miei collaboratori, affinché la scelta fosse condivisa, gli ho offerto di lavorare per sei mesi nel mio cantiere navale. Gli ho spiegato che non faccio beneficienza ma che gli offrivo la possibilità di ripartire. Quando gliel’ho detto piangeva, non credeva che fosse vero. Faccio questo perché quando sono andato a studiare negli Stati Uniti, qualcuno mi ha aiutato a diventare quello che sono oggi. Ho voluto farmi un regalo, dare un lavoro a Giordano che ha iniziato a lavorare il 15 novembre, data del mio compleanno». Vi racconto questa storia, che ho letto su Repubblica.it, come introduzione a questo quaderno che chiude l’anno. Vuole essere un regalo: una raccolta di buone notizie nella ricorrenza di Natale. Buone notizie da leggere, rileggere, amare e imitare. Buone notizie perché «solo l’amore crea”, come ha testimoniato padre Kolbe alla fine della sua vita, in un lager nazista. Buone notizie per sognare insieme “un mondo di amici”, il sogno di Gesù come fratel Arturo Paoli ci ha ripetuto molte volte.
di Mario De Maio