La differenza fondamentale tra gli animali e gli esseri umani è la libertà: mentre i primi reagiscono agli stimoli con risposte rigide, dettate dagli istinti, i secondi non agiscono secondo schemi fissi dettati da codici biologici. Educazione, ambiente, religione, etica influiscono e orientano i comportamenti umani che possono aderire e uniformarsi ai diversi codici in modo, almeno limitatamente, libero. «Ma l’instabilità che ne deriva è inquietante», scrive il filosofo Umberto Galimberti (I miti del nostro tempo, Feltrinelli 2009), «perché non concede la prevedibilità dei comportamenti, la consequenzialità delle azioni, la creazione di un mondo comune e condiviso».
La paura tanto diffusa oggi, in forme molteplici e pervasive tali da insinuarsi nella pluralità di rapporti tra persone, tra individui e comunità, tra comunità e istituzioni, tra istituzioni a livello internazionale e mondiale, è l’ultimo frutto di questa instabilità. Prima di manifestarsi come paura, il germe della instabilità ha fatto una lunga strada che Galimberti ci invita a ripercorrere a ritroso, a partire dalla mitologia greca.
La mancanza di stabilità, ovvero di sicurezza, avrebbe indotto gli esseri umani a preoccuparsi della propria “fame futura”, insediata dall’ingovernabilità della natura (la terra è madre ma anche matrigna) e dalla competizione con gli altri esseri umani (che possono essere ammici ma anche nemici, collaboratori ma anche rivali). «Per questo gli uomini costruirono città difese da alte mura, stipularono accordi che chiamarono leggi per regolare i rapporti tra gli abitanti, in modo che ciascuno fosse garantito nella disponibilità dei suoi beni e nel futuro della sua prole». Progressivamente, per garantirsi sicurezza, l’essere umano ha accettato limiti e restrizioni sempre maggiori alla propria libertà, affidando agli Stati il potere e il compito di assicurare stabilità.
«La ricchezza e la potenza di noi occidentali ha attratto il risentimento del mondo e l’odio dei disperati della terra che ci costringono, per ragioni di sicurezza, a fare dell’Occidente una società assediata. […] Non è un caso che nel declino generale dell’economia europea le industrie più fiorenti sono quelle che costruiscono dispositivi di sicurezza ».
Oggi ci troviamo dentro un cortocircuito pericoloso: da un lato l’ossessione della sicurezza genera politiche che si arrogano poteri arbitrari, lesivi di diritti e dignità, nei confronti di potenziali minacce (spesso irreali); dall’altra la spinta a recuperare quella libertà sacrificata in nome della stabilità, genera la “giustizia fai da te”, quella che invoca la legittima difesa quando si uccide chi sta compiendo un furto, quella che vuole liberalizzare l’uso delle armi, quella che organizza spedizioni punitive nei confronti di minoranze di qualunque colore e genere. La paura appare dunque un alibi che autorizza la regressione alla violenza e all’odio, all’idea che l’uomo sia lupo all’uomo, alla costruzione di muri. La paura, quella vera e reale, spaventa coloro che sono vittime di questo cortocircuito. Un cortocircuito che ha dimenticato l’altra possibilità di con-vivere nel mondo: quella fondata su libertà, responsabilità, fiducia reciproche.