di Giorgio Bernardelli in “Avvenire” del 9 agosto 2020
«Alla fine del cammino mi diranno: hai vissuto? Hai amato? Ed io, senza dire niente, aprirò il cuore pieno di nomi». Tra le migliaia di versi scritti da dom Pedro Casaldaliga, forse è proprio questo il più adatto a riassumerne la figura alla notizia della scomparsa di questo vescovo-poeta degli ultimi nell’Amazzonia brasiliana. A 92 anni – già pesantemente indebolito dalla malattia – se ne è andato ieri il missionario claretiano spagnolo, vescovo emerito della prelatura di São Félix do Araguaia, che è stato uno dei volti più noti della teologia della liberazione. Catalano di nascita, in Brasile padre Casaldaliga ci era arrivato nel 1968 per andare a vivere tra i campesinos e i popoli indigeni di quest’area del Mato Grosso, già allora pesantemente minacciata. E quando tre anni dopo Paolo VI lo aveva chiamato a diventare il vescovo di questa regione immensa, si era fatto subito conoscere in tutto il mondo per la sua prima lettera pastorale dal titolo eloquente: Una Chiesa nell’Amazzonia in guerra contro il latifondo e l’emarginazione sociale.
Un impegno che avrebbe portato avanti instancabilmente per cinquant’anni, nonostante le ripetute minacce di morte, proseguite anche dopo che nel 2005 aveva lasciato per raggiunti limiti di età la guida della prelatura. Eppure per i poveri ldell’America Latina Casaldaliga non è stato solo l’uomo della denuncia dell’ingiustizia. La sua grandezza è stata quella di aver dato forza ai loro sogni facendoli diventare verso poetico e preghiera. A partire dalla Messa della terra senza mali, da lui composta insieme all’altro poeta brasiliano Pedro Tierra alla fine degli anni Settanta. Un testo divenuto popolarissimo in quegli anni nel mondo missionario, ma anche occasione di scandalo per quella sua idea di riscrivere i testi liturgici a partire dalla vita, compresa quella dei popoli indigeni.
Dom Pedro Casaldaliga la spiegava così: «Quando la sofferenza antica si trasforma in speranza, quando i figli degli oppressori si riconciliano con i discendenti delle vittime, quando il passato oscuro diviene promessa di avvenire, allora nasce come canto e liturgia la “terra senza mali”, la visione che ha consolato lungo i secoli il pianto di un popolo condannato allo sterminio». In fondo in queste frasi c’è ciò che è stata tutta la vita di Casaldaliga: dare voce alle persone amate nel Mato Grosso ferito dall’avidità dell’uomo. «Io peccatore e vescovo mi confesso di sognare una Chiesa vestita solamente di vangelo e di sandali», recita un’altra delle sue frasi più note. Un sogno molto vicino a quello confidato da papa Francesco subito dopo la sua elezione. E non è un caso che anche un verso di dom Pedro compaia al numero 73 di Querida Amazonia, l’esortazione apostolica scritta a conclusione del Sinodo voluto proprio sulla regione del mondo a cui questo vescovo ha dedicato tutta la vita. Una terra che forse solo la parola dei poeti ci può davvero aiutare a salvare.