Laura Coccia racconta il rapporto con la sua spider, la nascita del figlio e gli sguardi perplessi di chi ritiene incompatibile maternità e disabilità
di Laura Coccia in “Quattro pagine” del 20.10.2020
Nata a Roma nel 1986, Laura Coccia — atleta con disabilità dal 1997, vincendo molti titoli Italiani e detenendo 7 record italiani tra indoor e outdoor — ha partecipato ai Campionati europei nel 2005 e ai Campionati
araboafricani open di Tunisi nel 2008.
Dopo l’Erasmus all’università di Lipsia, nel 2010 si è laureata con lode alla Sapienza in Storia contemporanea e nel 2015 ha conseguito il dottorato di ricerca in «Società, politica e cultura dal medioevo all’età contemporanea
». Deputata della XVII Legislatura, membro della Commissione cultura, scienza e istruzione, si è occupata di studenti con disabilità, diritti delle donne, pari opportunità per le atlete, impegnandosi anche per l’incremento dell’attività motoria nelle scuole.
A settembre 2019 ha iniziato a raccontare la sua gravidanza sui social network con l’hashtag #diversamente incinta e successivamente Diversamente Mamma per creare consapevolezza sulla disabilità come una condizione, non come un limite.
Ho iniziato ad usare la carrozzina da passeggio a undici anni, molto tardi rispetto alle previsioni dei medici, per i lunghi spostamenti o per godermi i mercati o i musei. Da quando ci sono salita per la prima volta ho provato una sensazione ambivalente: da un lato ho gustato la libertà di potermi muovere come volevo e per tutto il tempo, senza stancarmi eccessivamente, dall’altra però ero improvvisamente entrata nel mondo dei disabili, quella carrozzina era il certificato universale del mio handicap, nessuno poteva più far finta di niente e io non potevo più nasconderlo.
Ogni volta che salivo sulla mia spider dovevo fare i conti con lo stigma di una società che vede gli spastici in particolare come persone con deficit intellettivo relazionale, quindi, smettevano di parlare direttamente con me, guardando il mio accompagnatore mentre rispondevano alle mie domande.
Da quando mi sono sposata non è cambiato nulla. Mio marito è troppo spesso percepito come mio fratello, addirittura come mio padre, come il mio accompagnatore, il mio tutore, ma mai come mio marito.
Del resto la percezione comune è che le persone con disabilità siano esseri asessuati, non in grado di provare pulsioni, emozioni o sentimenti, che non siano quelli casti e innocenti dei bambini.
Al massimo, i desideri dei disabili vengono trattati come qualcosa da medicalizzare e da assistere, magari con figure specifiche che trattano la sessualità dei disabili come un qualcosa di meccanico, totalmente avulso dai sentimenti.
Durante i mesi di gravidanza abbiamo incontrato tantissimi stereotipi che ci hanno fatto molto ridere: persone che non mi avevano mai visto prima che erano convinte che fossi “semplicemente ingrassata”, o se Luca fosse mio fratello, se abitassimo insieme e altre curiosità che abbiamo raccontato con un video molto popolare sui social.
Poi c’erano le donne incinte come me che se mi incontravano ed io ero seduta iniziavano a chiedermi del bambino, se mi incontravano ed ero in piedi avevano uno sguardo interrogativo che affogavano in un imbarazzato
silenzio davanti alle mie semplici domande.
La disabilità fa paura. Spaventa perché non si conosce e non si sa come relazionarsi, manda in confusione e impedisce di andare oltre le convenzioni sociali e i pregiudizi.
La carrozzina per me è sempre stata una fedele alleata nei momenti difficili: a Vienna mi ha insegnato l’autonomia e il divertimento, a Berlino è stata le mie gambe e la mia libertà di visitare la città e vivere insieme agli altri ragazzi dello studentato di Biesdorf, a Lipsia è stata la mia fedele compagna di viaggio durante le avventure in giro per l’Europa, durante la
gravidanza è stata la mia sicurezza: negli ultimi giorni, quando il peso della pancia era insostenibile, lei era lì al mio fianco. Una fedele compagna di avventura.
Ora che mio figlio ha quasi 9 mesi ha iniziato la scoperta del mondo e della casa, di tutto ciò che lo circonda. Nel suo girovagare ha trovato anche la mia compagna di avventure e ha iniziato a studiarla, come ha fatto con le casse
dell’acqua, lo specchio, il lettino e i suoi libri, come un oggetto qualunque. È bellissimo osservarlo: studia le ruote piccole, il poggiapiedi, i raggi delle ruote grandi, li segue scorrendo sopra la mano, fino a raggiungere la barra per spingere e, soddisfatto, si tira su in piedi, esattamente come fa nel lettino, con il tavolinetto basso o con il divano.
Non vede differenze, perché in realtà non ci sono: sono tutti oggetti utili per osservare il mondo dall’alto, se invece sono a bordo è un modo per farsi prendere in braccio. Punto.
Ogni tanto penso a cosa rispondere quando mi chiederà «mamma, perché tu cammini così?», perché non potrò nascondermi come fanno gli altri genitori dietro a un «te lo spiego dopo!», perché per lui quella sarà una domanda esistenziale, esattamente come «come sono nato?».