da “Prendete e mangiate” di Arturo Paoli, edizioni Meridiana
Testo tratto da una meditazione tenuta a Spello nel 1996 durante un corso di esercizi spirituali organizzato dall’associazione Ore undici.
“Mangiate me”: le parole di Gesù riportate nel Capitolo 6 di Giovanni suscitano una reazione forte perché il linguaggio appare incomprensibile, come dimostrano le parole di reazione dei discepoli: “Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?”. La risposta di Gesù, la stessa che potrebbe ripetere ancora oggi, ha suscitato nei secoli una polemica grave e spostato il centro dell’Eucarestia deformandone il senso vero. “Conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli di questo mormoravano disse: vi scandalizza? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla, le parole che vi ho detto sono spirito e vita”. Queste parole hanno concentrato tutta l’attenzione sulla presenza reale, intendendo che il Gesù storico di Gerusalemme è presente nell’Eucarestia, come se questa interpretazione desse più gloria al Cristo Gesù.
Il centro dell’Eucarestia non è Gesù persona, ma il suo corpo mistico: il centro siamo noi. Il senso dell’Eucarestia va cercato nella comunità cristiana che partecipa all’Eucarestia, Questo è emerso chiaramente nel Concilio Vaticano II, e ha provocato alcuni cambiamenti nella liturgia, ma non è ancora entrato completamente nel popolo di Dio che continua a pensare che l’Eucarestia sia il rinnovamento del Calvario, del sacrificio di Cristo. Nell’Eucarestia, che è la ripetizione di questo sacrificio, ciò che è essenziale è la nostra offerta. Con questo atto il piccolo resto del popolo di Dio che accetta di partecipare al banchetto della cena del Signore, viene liberato e assunto per continuare nel mondo l’azione salvifica di Cristo.In passato si esigeva la purezza dell’anima per partecipare all’Eucarestia. Quando ho fatto la prima comunione, ci confessavamo tre volte nella settimana di preparazione all’Eucarestia, il giovedì, il sabato mattina e di nuovo nel pomeriggio. Si prestava una cura assoluta alla purezza dell’anima. Certamente per partecipare all’Eucarestia è necessaria una disposizione, ma la disposizione fondamentale è la rinunzia ai nostri progetti. Quando Paolo dice: “Non sono io che vivo ma è Cristo che vive in me”, vuol dire esattamente questo: io ho rinunziato completamente ai miei progetti di vita particolari, sono una persona che ha affidato totalmente il suo destino a Cristo. Evidentemente è Gesù che si dà attraverso di noi, Lui ripete la donazione al Padre della sua vita reale perché realizzi attraverso di Lui il grande progetto di fraternità. Quando vedo oggi le prime comunioni celebrate con lauti pranzi, ripenso alla mia prima comunione. Quando sono arrivato a casa dopo l’Eucarestia e la colazione con la cioccolata fatta nella casa del parroco, mia madre mi disse: “Oggi pomeriggio andiamo a restituire la visita a Gesù”. Restituire la visita a Gesù voleva dire andare in un luogo che si chiamava Santa Caterina, un ricovero per anziani, che non era certamente come i ricoveri di oggi. Se mi concentro sento ancora l’odore della creolina e rivedo mia madre che faceva i servizi di pulizia agli anziani. Non ho mai dimenticato questo quadro: restituire la visita a Gesù voleva dire visitare Gesù nei poveri, negli altri. Queste immagini segnano per tutta la vita, molto di più di tanti discorsi. Certamente il parroco aveva detto a tutti i genitori che bisognava completare l’Eucarestia, farla reale, compiere un segno per ritrovare Gesù nella persona dei poveri, nelle persone che soffrono. Forse oggi questo non si fa più. I grandi pranzi con cui si celebra oggi l’atto eucaristico sono l’antieucarestia!
Nel catechismo studiavamo che Gesù viene a visitare la tua anima, entra nella tua casa, che non è mai abbastanza pulita per riceverlo. La grande novità è rendersi conto che Gesù ti assume, e in questa assunzione ha bisogno di te per continuare l’obbedienza al Padre. Come diceva Teilhard de Chardin nella bellissima espressione “ha bisogno di te per ‘amorizzare’ il mondo”, per fare di questo mondo diviso un mondo di amore, fraternità, convivenza pacifica. Ha bisogno di te, per questo ti assume. E l’atto eucaristico è il momento solenne di assunzione, lui ti prende, ti fa suo, ti comunica il suo spirito, questa non per parole ma per simbiosi, per comunicazione di vita. E ti libera, cioè ti aiuta ad essere uomo, liberandoti dal tuo egoismo, ti fa altruista e non egocentrico. Essere uomo vuol dire riconoscere che siamo esseri relazionali e responsabili delle relazioni. L’Eucarestia, che è sempre stata vista come un atto angelico, superiore, metafisico, è in realtà un atto profondamente umano e carnale. Non sarà proprio per questo che Gesù insiste con queste parole forti: “mangiate la mia carne, bevete il mio sangue”? E proprio l’essere carnale ad assumere un nuovo orientamento, non più rivolto verso di me, ma dato agli altri. Questa famosa libertà di cui si parla tanto – teologia della liberazione, pedagogia della liberazione, spiritualità della liberazione – significa appunto liberarci dal nostro egoismo, farci altruisti e metterci nella verità. Usciti dalle mani di Dio, l’immagine di Dio che noi siamo si esprime nell’essere aperti agli altri, nel non riservare nulla per sé. Per mezzo di questo piccolo, invisibile grano di lievito che è la comunità cristiana divenuta Eucarestia, unita al Cristo, si salva tutta l’umanità. L’umanità è implicitamente salvata anche se tardano a vedersi gli effetti di questa salvezza.
La grande intuizione della modernità, per cui la storia deve avere un senso, non può essere la storia di formiche che girano attorno ad una casa senza un perché, se non quello della sopravvivenza. La storia ha un senso, e dobbiamo riconoscere l’impportanza di Hegel, di Marx, del neoguelfismo storico, che ci hanno fatto scoprire la storia come storia dell’Alleanza. Fino alla mia generazione il cristianesimo era visto unicamente come salvezza spirituale dell’individuo, in una forma completamente intimista. Attraverso Sant’Agostino nel cristianesimo è entrato il platonismo che ha portato questa visione individualista. La Bibbia invece è la storia dell’Alleanza, la mia salvezza perso nale nel messaggio biblico è paragonabile alla mancia data al cameriere quando serve a tavola: il centro è la storia, la sal vezza di tutta l’umanità attraverso la sua storia. Siamo assunti per partecipare attivamente, liberamente a questa storia, che non è una storia lineare, ma complessa, tormentata, attraversata da odii, violenze, amori. Li dentro c’è un fermento immortale, un lievito che non andrà mai a male e che trasforma la storia umana in storia salvifica. I responsabili della catechesi devono cominciare ad insegnare ai bambini e ai ragazzi questa magnifica responsabilità che abbiamo: siamo niente meno che incaricati del mondo, non per dominarlo, non siamo i padroni di un grande feudo, ma abbiamo l’incarico di man tenere vivo nel mondo questo lievito. Riceviamo dall’Eucarestia la forza di compiere atti di riconciliazione verso gli esclusi, gli emarginati, le vittime della non fraternità. Quelli che questo mondo così violentemente attivo respinge sempre, sacrifica verso l’emarginazione. Attraverso queste forme concrete di fraternità verso le vittime si manifesta l’Eucarestia.Abbiamo avvolto di altre cose il senso dell’Eucarestia. Dobbiamo riscoprirlo ogni giorno.