tratto da “In ascolto – omelie” di don Angelo Casati
Gli occhi aperti del cieco: il miracolo di quegli occhi inauditamente aperti!
Ma, perdonate se io inizio non dagli occhi aperti del cieco, ma dagli occhi aperti di Gesù: “Passando” — è scritto — “vide un uomo cieco dalla nascita”.
La speranza sono gli occhi aperti di Gesù: non c’è nell’episodio un grido, un’implorazione, una preghiera da parte del cieco. Perché a volte nemmeno siamo più capaci di pregare, o non ne abbiamo più forza, o siamo troppo disperati per crederci.
E quindi la speranza non è nemmeno la nostra preghiera, la speranza sono gli occhi aperti di Gesù che si fermano a guardarci. Anche in questa Quaresima.
Voi mi direte che anche gli altri videro il cieco, infatti ne chiesero ragione a Gesù “chi ha peccato lui o i suoi genitori…”. Il cieco ascoltava — pensate che godimento! — ascoltava quella discussione religiosa sul peccato — suo addirittura prima di nascere — o dei suoi genitori.
Il cieco ascoltava dal buio dei suoi occhi: era diventato un caso, un caso su cui discutere, un pretesto per un dibattito religioso.
Non si sentiva guardato.
Si sentì guardato da quelle altre parole di Gesù che, buttando a mare la discussione sul peccato, diceva che in lui, in un cieco come lui si sarebbero manifestate le opere di Dio. Dal buio dei suoi occhi lo udì dire proprio così! Poi sentì le sue mani sui suoi occhi spalmargli del fango e la voce dirgli: “Va’ a lavarti nella piscina di Siloe”.
Gli occhi aperti di Gesù! La speranza non sono le discussioni, nemmeno quelle religiose. La speranza è uno che ti guarda. Se poi a guardarti è il Signore, sei a un passo dalla salvezza! Dico “sei a un passo” perché un passo poi, anche questo decisivo, tocca a te.
Che cosa tocca a te? Che cosa tocca a noi?
Guarda il cieco: il cieco ascolta ed eseguisce. “Gli disse: va’ lavati nella piscina di Siloe. Quegli andò, si lavò, e venne che ci vedeva”. Noi invertiamo l’ordine dei verbi, noi prima vogliamo vedere, poi, chissà, forse ascolteremo. Non c’è un ascoltare profondo, nella vita, ci interessa il miracolo. Ma nemmeno per il miracolo c’è un ascoltare profondo: si chiacchiera sul miracolo, è il pettegolezzo sul miracolo, è la cronaca, la cronaca a volte indisponente. Simili anche noi a quei giudei con tutte quelle domande sul ‘come’, sul ‘dove’, sul quando’ del miracolo. E un parlare senza profondità, delle cose profonde non parlano.
“Costui — dicono di Gesù — non sappiamo di dove sia”. È la cosa profonda, ma è come se della profondità a loro non interessasse. Tanto loro sanno: tutto il brano è percorso da questo ritornello ubriacante: noi sappiamo. Che cosa hanno da ascoltare? Loro sanno tutto. E così rimangono — dice Gesù — ciechi, perché presumono di vedere.
Noi abbiamo tutta una religione del vedere e rimaniamo ciechi. Dobbiamo ritornare a capire che la religione biblica autentica non è l’ossessione di vedere. Nella Bibbia, anzi, è scoraggiato il vedere. Mosè scende dal monte con un volto luminosissimo non perché ha visto Dio, anzi la sua pretesa di vederlo è stata scoraggiata. “Mostrami la tua gloria” aveva detto (Es 35,18). Gli fu risposto: “Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo”.
Mosè scende luminosissimo dal monte non perché ha visto Dio, ma perché ha ascoltato Dio.
E così gli occhi del cieco — del cieco dalla nascita — si illuminano non perché ha visto Dio, ma perché l’ha ascoltato e ha eseguito.
È l’ascoltare che ti illumina.
È l’ascoltare la Parola di Dio che ti trasforma.
È scritto nel primo libro di Samuele (1 Sam 15,22): ‘Ascoltare è meglio che il sacrificio”. Prima che a eseguire un rito – sia pure il rito della Messa – tu sei chiamato a un ascolto. Nel libro dell’Esodo è scritto: “Tutto ciò che il Signore ha parlato, noi lo eseguiremo e lo ascolteremo’: (Es 24,7) Strana questa precedenza: eseguire prima di ascoltare. Ma un acuto commentatore annota: «Israele si impegna a mettere in pratica la parola udita da Dio prima ancora di pensarci sopra» (Paolo De Benedetti, Ciò che tarda avverrà).
E la parola del tuo Dio che ti apre gli occhi, che ti illumina, che ti trasfigura. Ce lo ricorda il tempo quaresimale. Ce lo ricorda l’albero fiorito vicino all’ambone dove viene letta la Parola: ci ricorda che a renderci luminosi – come l’albero fiorito – è l’ascolto della Parola di Dio.