tratto da “Meditazioni” di Cristiano Bortoli
Sei giorni prima della pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli; e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. (Giovanni 12,1-3)
Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che a’veva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli, suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato». (Giovanni 11,1-3)
Ho scelto questo brano perché è nominata una casa che Gesù frequentava molto spesso. Vi si trovava una ragazza, di nome Maria, che l’accoglieva con molta gentilezza e anche con molta devozione: l’ascoltava sempre. E poi trovava la sorella di lei, di nome Marta, che col suo daffare premuroso rendeva la casa, l’accoglienza, molto gradita. Poi c’era il suo grande amico, Lazzaro. Per questo ho scelto queste due brevi notizie di una casa visitata da Gesù. Gesù non aveva una casa, per questo è spesso ospite, viandante, pellegrino, camminatore.
Era nato a Betlemme, all’aperto – il vangelo di Luca dice che non c’era posto per loro nel caravanserraglio (cfr. Luca 2,7). Subito è costretto alla fuga, in Egitto (cfr. Matteo 2,13-18). Torna e per trent’anni abita con i suoi genitori, ha una casa. Poi esce. L’evangelo non dice che sia ritornato. La sua strada diventa la sua casa. Dirà un giorno: il figlio di Dio non ha dove posare il capo (Luca 9,58). Gesù è un camminatore.
L’evangelo nomina alcune delle case in cui Gesù viene ospitato: la casa di Pietro, in cui spiega le parabole (egli infatti parla all’aperto, ad alcuni amici poi dice cose più profonde), la casa di Levi, quella di Simone e molte altre case in cui va a mangiare. Ad ospitarlo è gente che vive un po’ ai margini della morale comune; tant’è vero che per questo è criticato. Lo rapportavano al Battista, l’asceta, l’essenziale, il digiunatore, l’uomo che non aveva casa e che abitava nel deserto. Gesù non si lascia impressionare da queste critiche, non le accetta e continua ad andare per le case a mangiare. Perché?
La casa rappresenta la comunione. Gesù parla di festa, di gioia, di condivisione, di comunione appunto. Il regno di Dio è come una grande casa, una grande famiglia, e lui vorrebbe anticipare qui sulla terra quello che troveremo un domani. Il regno di Dio su questa terra è fare casa, essere luce e trovare pane.
Fare casa vuol dire fare festa, essere nella gioia, condividere. E questo è molto bello. La famiglia umana dovrebbe essere così: una grande casa. Se dall’evangelo dovessimo ricavare l’essenziale, potrei formulare questo slogan: Gesù vuole che tutto il mondo sia una grande casa, nella quale Dio è Padre e tutti sono fratelli. Questo per me è l’essenziale, il resto è aggiunto e opinabile. Ogni casa dovrebbe esser questo segno di comunione, o almeno diventarne simbolo. Nella casa c’è l’uomo e la donna, genitori e figli, adulti e giovani. C’è la diversità: età diverse, modi diversi, stili diversi. È un luogo di apprendistato alla diversità, di confronto in cui si accettano le differenze, è un luogo in cui si fa maturare il dialogo. Certo, la casa può diventare anche spazio separato, vite che trascorrono parallele nell’indifferenza, ma in realtà dovrebbe essere spazio in comune e vite condivise. Nella casa, infatti, nascono le due dimensioni dell’uomo: la comunione e l’identità. La comunione è la radice profonda dell’uomo. Nella casa l’uomo è sè stesso, mette le radici, ricorderà sempre la casa come memoria, la sua casa. Come un albero sta in piedi quando ha profonde radici, una persona si regge quando ha avuto una famiglia e una casa solide.
Ogni creatura per essere sè stessa ha bisogno di un luogo in cui abitare. Anche la pianta, anche l’animale hanno un loro habitat. Chi non ha una casa, un luogo fisso in cui crescere, chi è nomade, chi è ramingo, molto spesso è lacerato. Pensate a tutta quella gente che arriva da fuori oggi in Italia. Molto spesso il non avere casa ti fa diventare aggressivo, violento, ramingo, nomade, scontroso, diverso. Apprezza la tua casa!
Anche il mio corpo è una casa. Io abito il mio corpo, sono ospite del mio corpo e ospitante. Devo avere uno sguardo contemplativo su questo mio corpo. Talvolta me lo sento estraneo, nemico, lacerato, stanco, ferito. Lo dovrei amare lo stesso. Lo sguardo contemplativo sulle mie parti malate, l’abitare il mio corpo e accoglierlo, amarlo anche quando lo sento estraneo e non mi piace e vorrei allontanarlo. Il mio corpo può essere una parola che dico agli altri: può esser una parola banale, mediocre, aggressiva, ma può essere anche una parola vera, di dolcezza, che comunica, un fratello, un amico.
E poi il corpo è abitato da Dio. Il natale mi dice che Dio si è inabissato in una carne, la parte più debole di me. Dio si è incarnato, ha fatto casa nel mio corpo. Credo che dovrei pensarci più spesso. Il mio corpo, la mia carne è abitata da Dio, c’è un frammento di Dio nel mio corpo ed è facile perderlo, è facile che venga distrutto e dimenticato. Eppure attraverso il tuo corpo, dice Paolo, tu costruisci la tua santità (cfr. 1 Tess 4,4). Il corpo come culto a Dio, strumento, strada verso Dio. Dovrei amarlo, e farne uno strumento di lode, di grazie e di misericordia.
Anche il mondo è casa mia. La città, l’ambiente dove lavoro, studio, i volti, i messaggi, le persone sono la mia grande casa che non devo fuggire, che devo amare e che devo abitare. In questa casa trovare qualcosa che mi arricchisce e poi arricchisca. Molto spesso invece, e questa credo sia una tentazione comune, questo mondo, questa società e questo ambiente in cui abito non lo sento casa, mi sento talvolta estraneo. È una casa ed un luogo che cambia continuamente: nascono e muoiono cose e io mi chiedo: di chi sono? Appartengo, al passato, al futuro, a quale presente? Ad un vuoto? Talvolta ci si sente smarriti, dispersi, nomadi in questo mondo in cui non ci sono più strade, direzione, calore, pane, paletti di riferimento. Talvolta la mia identità è bassa, mediocre, orizzontale, dovrei trovare la roccia su cui costruire la mia casa. Il mondo spesso è sabbia: dove trovo la roccia su cui costruire la mia casa, la mia identità?
Anche Dio cerca casa. Nel primo libro dei Re Salomone vuole costruire una casa bella e sontuosa al suo Dio. Ma Dio non vuole spazi che lo confinano, luoghi che lo determinano, non vuole essere circondato da mura (cfr. 1Re 8,27). Dio vuole abitare nel cuore degli uomini. Il cuore dell’uomo è dove ci sono i suoi affetti, le paure, le ferite, le speranze, dove si costruisce la sua vita, la si orienta (Apocalisse 3 ,20: ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da luz; cenerò con lui ed egli con me). Noi siamo case abitate, ciascuno di noi ha qualcuno dentro, un volto, un ricordo, una speranza che lo abita. Tutti noi siamo abitati da qualcosa o da qualcuno e talvolta, spesso, anche dalle cose negative. Vorrei, o Signore, come dice il salmista, abitare nella tua casa (cfr Sal 27 ,4). E Dio mi dice: vorrei abitare nella tua casa. Dio ha la sua casa in chi lo accoglie, in chi lo lascia entrare, in chi ha una cella in cui farsi discepolo del maestro. E se Dio entra nella tua casa ti insegna a fare casa. La misura con cui io colgo una presenza di Dio dentro di me è il modo con cui faccio casa agli altri.
I bambini disegnano le case con molte finestre: è la socialità, l’ospitalità. La bibbia incomincia con un grande gesto di ospitalità: Abramo accoglie tre forestieri (cfr. Genesi 18,1-21) e nello straniero è Dio che lo visita; l’evangelo si chiude con un episodio di ospitalità: Emmaus (cfr. Luca 24,13 -35). Due discepoli accolgono uno sconosciuto nel loro allontanarsi da Gerusalem me e, giunta la sera, lo invitano a fermarsi assieme a loro ed è Gesù. Tra questi due eventi c’è il sì di Maria che accoglie Gesù nella propria vita e nel proprio grembo (cfr. Luca 1,26-38).
Praticate l’ospitalità. In un mondo pieno di paura, chiusure, difese, in cui si spendono tanti soldi per difendersi, diventa una creatura che distribuisce comunione, che dice grazie, che dà la mano, che sorride e accoglie, che impara a fare casa. Betlemme, è la casa del pane, della pace e della serenità. Accogli anche i fatti duri della tua vita, in questa casa, impara a scioglierli con l’aiuto di Dio.
Concludo con una preghiera di Turoldo: «Un chiostro è il mio cuore ove tu scendi a sera, io e te soli a prolungare il colloquio» – un chiostro dice lui, il monaco, una casa diciamo noi –
«o per scoprire come amore ancora ti spinge, in silenzio ascolto il fruscio dei tuoi passi e il suono della voce che chiama… E non fuggo per nascondere dietro gli alberi la mia nudità – con te sono libero – orgoglioso d’essere questo nulla da te amato».
Se io mi sentissi così, un nulla amato da Dio, sarei una casa amante per gli altri.