di Domenico Marino in “Avvenire” dell’8 aprile 2021
Mohammed Hussin Hari è giunto a Roccella Jonica sei anni fa. Era il 6 novembre 2015 e il freddo s’era già impossessato del suo spazio di stagione quando sbarcò da un’imbarcazione sulla costa ionica reggina assieme ad altri disperati compagni di viaggio salpati dalla Turchia. Uno straniero come i tanti che arrivano qui sulle rotte della disperazione e della speranza; ma ora Momo – così lo chiamano tutti – ha un motivo in più per non sentirsi estraneo nella comunità calabrese: infatti è diventato cittadino onorario di Roccella Jonica per meriti speciali.
Il Consiglio comunale lo scorso mese di marzo gli ha tributato il riconoscimento «in segno della profonda riconoscenza e concreta gratitudine per il suo operato e come manifestazione dei sentimenti di solidale accoglienza che caratterizzano la nostra comunità». Momo parla 5 lingue e ogni volta che un barcone approda nella Locride è sempre il primo ad accogliere i migranti e a fare da tramite con forze dell’ordine, medici e volontari. È lui che tranquillizza tanto chi arriva quanto chi deve accogliere.
La goccia che ha colmato il vaso della riconoscenza della comunità calabrese nei confronti di questo mediatore linguistico di origini irachene è caduta la scorsa estate, quando a Roccella arrivò l’ennesimo gruppo di migranti, tra cui 15 minori non accompagnati. Il giorno dopo si seppe che alcuni di loro erano positivi al Covid. Scattò allora una complicata macchina organizzativa, mirata anzitutto a trovare loro una sistemazione. Ma soprattutto c’era da pensare a come garantire ai ragazzi, già duramente provati, le cure e l’assistenza necessarie a rendere dignitosa e sicura la loro permanenza in quarantena. Senza trascurare l’impatto della notizia sulla popolazione.
Fu proprio Momo allora a tendere una mano fondamentale: «Tranquillo sindaco, sto io con i ragazzi. Mi prendo cura io di loro per questa settimana». Sette giorni che diventarono un mese, mentre Comune, Prefettura e forze dell’ordine lavoravano per garantire la sicurezza e la salute di tutti. Al fianco dei ragazzi c’era sempre Momo: parlava con loro, sempre più sconfortati, riferiva di cosa avevano bisogno, cucinava, curava le loro ferite, verificava che prendessero i medicinali, sorvegliava sulle condizioni igieniche. Fino al 18 agosto, quando l’ultimo giovane migrante partì per Roma.
«Senza Mohammed quei ragazzi non avrebbero retto, non saremmo riusciti a garantire un’ospitalità dignitosa », sottolinea ora il portavoce dell’amministrazione comunale ricordando l’arrivo di Momo cinque anni fa, accolto dai volontari dell’Associazione ‘Aniello Ursino’, da Mimmo e dalla signora Rosella. Aggiunge: «Ha iniziato a lavorare, a conoscere altre persone che hanno imparato a stimarlo per la sua serietà e la sua disponibilità. Ogni volta che si registra uno sbarco la prima cosa che tutti chiediamo è: ‘Ma Momo c’è?’. E Momo c’è, sempre».
«Grazie, grazie a tutti per questo riconoscimento. È una cosa grande per me», racconta commosso il neo-cittadino nel suo italiano ancora incerto ma più che comprensibile, a margine della manifestazione ufficiale celebrata il mese scorso in municipio. «Tutti qui mi rispettano, grazie, grazie a tutti. Sono felice, in questo momento così difficile per tutto il mondo, di essere in Italia e a Roccella». Ma felice si dimostra anche il sindaco della cittadina della Locride, Vittorio Zito, il quale ricorda l’impegno continuo di Momo ad ogni sbarco e sottolinea come l’aiuto garantito la scorsa estate è andato non solo a vantaggio di Roccella «ma di tutta l’umanità. Momo riesce sempre a tranquillizzare i migranti spiegando loro che cosa devono fare e d’altra parte a noi dice quali sono le loro esigenze».