Come si è strutturato il filo del desiderio nell’esperienza di vita di Gesù?
di Angese Mascetti
Il desiderio di Gesù
Le nostre vite si sostengono ciascuna sul filo d’oro della nostra storia d’Amore. Nel suo cuore è custodito il desiderio: quella spinta verso l’oltre, che ci fa attendere, sperare, stare inquieti, mai colmi.
È difficile darne una definizione se non attraverso delle immagini e delle metafore, come quella dell’orizzonte che, ogni volta, si riapre verso qualcosa di nuovo quando pensiamo di averlo raggiunto.
Fondamentalmente il desiderio lo rappresentiamo come un vuoto, di cui possiamo solo raggiungere il bordo. Esso indica qualcosa che ci manca e proprio per questo ci tiene in vita, orientati al futuro. Parlare del desiderio di Gesù è un tentativo di interpretare, secondo categorie moderne, la sua esperienza di vita. Come si è strutturato il filo d’oro della sua storia d’amore?
Ne parlano i vangeli?
Per lui, come per tutti noi, possiamo cercarne i segni, indicarne gli effetti, leggerlo sottotraccia nelle sue parole.
Il vangelo di Luca ne parla esplicitamente una sola volta, in modo potente e luminoso, quando Gesù inizia la celebrazione di quella che sarà il suo ultimo Seder pasquale, la celebrazione ebraica della Pasqua, per noi cristiani l’Ultima Cena.
Ho desiderato ardentemente, mangiare questa Pasqua con voi, prima di soffrire.
Il dinamismo del desiderio
Come si struttura il desiderio? Come si impara a riconoscerlo?
Tante volte ne parliamo in modo romantico, in termini di bellezza ideale.
Il desiderio racchiude quello spazio di fedeltà che, tradotto nel linguaggio religioso, chiamiamo vocazione. Un sì a ciò che rende se stessi unici, nel modo di cogliere la vita ed orientarla verso Dio.
Il desiderio ha radici lontane. Si forma e si nutre dal desiderio dei genitori e delle persone significative della propria vita. Ogni bambino voluto, atteso, è circondato da quell’humus fertile, che gli permette di respirare, nella relazione, l’esperienza di essere vivo, accolto, di avere un posto nella mente e nell’affetto dell’altro.
Quanto è difficile per i genitori imparare a desiderare la libertà del figlio, pensarlo non per sé, a misura delle proprie aspettative e bisogni.
Accendere in lui la capacità di desiderare e poi accogliere il suo modo di realizzare se stesso, a volte così profondamente diverso dalle attese.
Solo chi desidera trasmette desiderio e rende desideranti.
Questi processi, così vitali e così sfuggenti, possono prendere il colore dell’incomprensione, della sofferenza e richiedono un’apertura al mistero della vita del figlio.
Il desiderio crea sempre uno scarto, un disorientamento in chi sta vicino, mentre la persona che lo vive vede dilatarsi la sua vita, in un passaggio di crescita, sperimentando la coerenza di una spinta interiore.
La storia di Maria e Giuseppe come genitori non è esente da queste difficoltà e i vangeli non ci nascondo la loro fatica in rapporto a Gesù.
Per esempio, Il vangelo di Luca lo presenta salire per la prima volta al Tempio con loro. Il racconto ci parla dell’angoscia di Maria e di Giuseppe quando, dopo tre giorni di ricerca, non sanno più dov’è.
Perché mi cercavate? Mi devo occupare delle cose del Padre mio.
Desideranti, perché desiderati
Dio c’entra col nostro desiderio?
Nella Bibbia, sovente, l’esperienza di fede unica e singolare è sintetizzata con l’espressione: il Dio di … Abramo, Isacco, Giacobbe, Samuele, Mosè… Gesù quale volto di Dio ci propone?
Quale esperienza di Dio sostiene il suo desiderio e lo rende desiderante?
L’immagine che Gesù ha di Dio è un’immagine molto particolare: nella sua esperienza di fede l’ha chiamato Abbà, che non è semplicemente Padre, ma Papino, un vezzeggiativo.
Come si è formata e ha preso consistenza nella sua vita? Come è divenuta unica, centrale, insostituibile?
Possiamo dire che l’amore al Padre è il filo d’oro della sua esistenza e in esso del suo desiderio?
Con il passare del tempo, la rappresentazione di Dio come Padre è divenuta nella Chiesa l’immagine di Dio per eccellenza. Dovremo aprire una lunga riflessione in merito. Oggi mi propongo solo di provare a uscire da questa visione assolutizzata di Dio, per ridargli respiro, per restituirla innanzitutto all’esperienza umana di Gesù.
Nel ribadire la differenza tra desiderio al singolare e desideri al plurale, nel significato comune che gli viene attribuito, indico due momenti in cui l’immagine di Dio come Padre vacilla e intuiamo la lotta, la lacerazione interiore di Gesù.
Nel Getsemani: Padre mio, se è possibile allontana da me questo calice. E l’altra, sulla croce: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? Qui vediamo l’immagine di Dio crollare di fronte al reale violento che stava vivendo.
È ancora il vangelo di Luca che, poco dopo, nel racconto della Passione, attraverso le ultime parole di Gesù sulla croce, esprime la potenza infinita di risurrezione. Essa è racchiusa in quel balzo inedito nel buio e nel vuoto, che apre un respiro nuovo del suo desiderio: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno, e ancora Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito.
Il venerdì santo ci inginocchiamo di fronte all’immagine di Gesù sulla croce, ci inchiniamo davanti alla sua fedeltà, che si esprime con un sì totale al suo Desiderio d’Amore, nella libertà e nel dono di sé.
Custoditi nel desiderio di Gesù
Il Vangelo di Luca ricordandoci il Desiderio ardente col quale Gesù iniziò il rito dell’Ultima Cena, ci rimanda immediatamente al roveto che arde e non consuma del libro dell’Esodo. Segno del mistero della presenza di Dio, di fronte al quale Mosè si prostra togliendo i sandali.
Come credenti, chiediamo a Gesù di alimentare il nostro desiderio e la nostra fede in questo suo Amore ardente e di custodirci, come ci ha promesso, nel suo desiderante abbandono fiducioso alla Vita.