Benedetto Calati, monaco camaldolese, è emblema di libertà, di dialogo e di laicità
di Enrico Peyretti in “Mosaico di pace” di Settembre 2021
Chi ha conosciuto padre Benedetto Calati non si stupirà molto di questo libro. Chi non lo ha conosciuto potrà fare la felice scoperta di un esemplare di uomo libero, dotato di vivace sensibilità umana , di pura fede evangelica, nel cuore della Chiesa cattolica. Sorprende, perché la secolare struttura cattolica viene facilmente identificata con la forma clericale: uomini (e mai donne) di una gerarchia, una dottrina, una morale severe, obbliganti. Ci sono anche vivissime persone umane sotto quelle pesanti vesti, ma di rado appaiono e si esprimono come tali. Benedetto Calati (1914-2000), monaco nella millenaria famiglia camaldolese, è uno di questi. Fu priore di Camaldoli e priore generale dal 1969 al 1987, negli anni in cui quella comunità monastica, si ispirò al Concilio, all’incontro ecumenico e interreligioso, alla lettura della storia e della Chiesa attraverso la Parola di Dio.
Dom Benedetto era così negli incontri di studio, nella conversazione con tante persone e gruppi, ed è così trasparente in questa inter vista del 1994 , per i suoi ottant’anni, pubblicata soltanto nel 2019.
L’introduzione di Raniero La Valle, in una trentina di pagine, indica le note più tipiche e sorprendenti di questo libro: il tema della paternità, dell’esodo, della donna e dell’amore. Tutto il libro scorre vivo tra domande e risposte. C’è il criterio storico, il rapporto tra le fedi, il primato della coscienza, c’è l’ amicizia, l’amore, il celibato.
Nell’intervista dice il suo stupore di trovarsi innamorato a settant’anni (p.32), e ricordo che lo disse di nuovo a ottant’anni. Lui era così. E mi ricordo che confidava: ”Il peccato originale del cattolicesimo è il papato”, quel papato modellato sull’impero costantiniano. Oggi godrebbe vedendo che Francesco avvia un profondo processo di conversione del ministero di Pietro.
Quando festeggiammo i suoi ottant’anni, a Camaldoli, nell’ottobre del 1994, fecero parlare anche me: ”Sei un uomo felice – gli dissi – e scaldi il cuore”. Aveva pur avuto da soffrire, e soffriva di molte cose della Chiesa , ma era felice. Accoglieva gli amici con vera festa e abbracci. Aveva fede nel Dio Amore. Diceva: ”Dio è un bacio’‘ (pp. 33, 72 , 12 6 ss). Vivace come un fringuello, anche da vecchio, franco e aperto nell’esprimersi, era l’opposto del monaco chiuso sotto cappucci e dentro mura, ma ti portava frutti maturati in silenziosi chiostri interiori. Erano frutti di libertà evangelica.
Con gli studi sulla spiritualità del primo millennio, e specialmente sul ”suo” Gregorio Magno, Calati contribuì al migliore rinnovamento evangelico conciliare, attinto alla più solida tradizione originaria, prima della de cadenza del Vangelo nella potenza ecclesiastica.
Dai nomi citati nel libro si vede quale larghezza di relazioni vive abbia intrecciato dom Benedetto, attraversando confini culturali che per altri erano divisioni degli spiriti: c’è Rossana Rossanda, Pier Cesare Bori, la Fuci, Dossetti, Felice Balbo, Montini, Franzoni, Pietro Ingrao, Adriana Zarri, Lombardo Radice, Fortebraccio, ecc. Questo libro-intervista è una bella e diretta conoscenza del ”monaco della libertà”, che dice: ”Il quid della vita monastica è la libertà” (p. 71).