«C’è un modo di insegnare religione che rende difficile o impedisce l’educazione alla pace. Non mi riferisco tanto agli insegnamenti morali, relativi ad es. alla guerra giusta o all’uccisione del tiranno (dottrine che devono essere certamente riviste), ma alle concezioni più generali che riguardano la funzione del cristianesimo nella storia, la missione della chiesa e la stessa concezione di Dio.
Tutta la teologia cattolica e quindi anche l’insegnamento della religione può ancora essere percorsa da dinamiche violente e discriminatorie.
Spesso perciò con l’insegnamento della religione noi contribuiamo all’educazione di uomini violenti pur difendendo ideali di pace e proclamando il vangelo della fratellanza universale. È necessario rendersi conto di queste dinamiche per evitare ogni contraddizione che risulterebbe deleteria.
La pace è prima di tutto un processo culturale che richiede la revisione radicale dei modelli interpretativi e degli atteggiamenti spirituali che nel passato, spesso inconsapevolmente, hanno suscitato movimenti violenti. […]
C’è molto infantilismo e antropomorfismo in formule relative a Dio usate abitualmente, ma soprattutto esse spesso rendono difficile una vera educazione alla pace.
Il Dio onnipotente, il Dio degli eserciti, il Dio che sconfigge i nemici, che ci può far prevalere su gli
altri è un Dio violento e guerriero. Questa immagine di Dio riflette esperienze e culture di altri secoli, ma
ha lasciato traccia in molte espressioni popolari.
Il Dio salvatore che il vangelo ci presenta non è colui che ci fa vincere, che è più forte dei nemici,
ma colui che ci concede di vivere tutte le situazioni, anche la morte, in modo salvifico. È il Dio che
anche quando siamo sconfitti ci offre di poter amare e perdonare. Il Dio rivelato da Cristo è il Dio della pace e della fraternità, il Dio della resurrezione non della vittoria. […]
La pace non deve essere richiesta come urgenza per i disastri che potrebbe provocare una guerra atomica, ma come salto qualitativo dell’esistenza umana, come la dimensione spirituale delle attuali strutture di comunicazione, di industria, di commercio. La sconfitta della violenza passa attraverso cambiamenti molto più radicali che la semplice distruzione delle armi. È un atteggiamento nuovo dello spirito: l’incontro fraterno con gli altri, l’uso maturo della sessualità, la considerazione sincera degli anziani, la vicinanza premurosa agli ammalati, la solidarietà con gli emarginati, la condivisione con i più poveri».
Stralci di un articolo di don Carlo Molari del giugno 2005, intitolato “Quando la violenza comincia dalla teologia” (su www.dimensionesperanza.it/dossierpace).