di Paolo Gamberini su Rocca del 15.05.2022
Nell’ultima intervista rilasciata a Rocca (18-19/2021), il teologo recentemente morto Carlo Molari presentava ancora una volta in maniera chiara e coinvolgente – come sempre – l’idea ispiratrice di tutto il suo pensiero teologico e della sua spiritualità, cioè la consapevolezza che «l’azione creatrice di Dio è continuamente all’opera in noi, con l’offerta di nuovi doni di vita da accogliere; […] l’azione di Dio, infatti, può manifestarsi nel Creato solo come azione di creature che la accolgono e ne fanno dono. Dio non interviene dall’esterno, non aggiunge altro rispetto a quanto le creature possono apportare all’ambito dell’esistenza loro e del mondo; ma, alla creatura, tutta la Perfezione è continuamente offerta per essere accolta lungo un cammino che non può che essere progressivo. Il tutto è ben riassumibile nella felice espressione di Teilhard de Chardin: Dio non fa le cose, ma offre alle cose di farsi. O, analogamente, da papa Francesco nella Laudato si’ al n. 80: «Lo Spirito di Dio ha riempito l’universo con le potenzialità che permettono che dal grembo stesso delle cose possa sempre germogliare qualcosa di nuovo» Questa consapevolezza, aggiungeva Molari, contraddistingue il nostro diventare figli di Dio e la nostra umanità. «Ed è per questo che noi preghiamo: non per chiedere a Dio di fare qualcosa al nostro posto, ma per chiedere a Dio di diventare noi capaci di fare quello che la vita oggi ci chiede». In questa breve sintesi è espressa tutta la passione di Molari di voler coniugare la ricerca della fede con l’indagine della ragione; la fiducia nella creazione continua di Dio con la convinzione che la materia evolve verso lo spirito, e in tal modo «sull’esempio di Gesù, consentiamo al Verbo di continuare a incarnarsi, cioè di farsi progressivamente carne in noi».
Continuare a pensare con e oltre il suo pensiero
Non solo le creature sono – diacronicamente e sincronicamente – connesse tra loro in una sinfonia cosmica, ma le stesse discipline del pensiero – biologia evolutiva, fisica quantistica, neuroscienze, filosofia, teologia, le altre religioni – vivono le une nelle altre, pur nella loro necessaria distinzione. Tullo questo, ribadiva Molari nella intervista a Rocca, non è relativismo, «ma, al contrario, la certezza che una Perfezione, un Bene, un Amore esiste e ci trascende, assieme all’umiltà di riconoscere che, di fronte all’Incommensurabile, nessuna cultura, tradizione, religione umana, di per sé esaurisce il cammino che ad Esso conduce. Tuttavia, ciascuna, per i doni dell’azione creatrice, accoglie frammenti di verità e perfezione, e a sua volta ne fa dono alle altre spiritualità. Così si sviluppa il cammino dell’umanità». Durante gli anni del Concilio Vaticano II, ma in modo particolare a partire dal dopo Concilio, Molari maturò sempre più questa singolare prospettiva teologica e spirituale, iniziando così percorsi che lo esposero come ben sappiamo anche alla critica di quanti non gradivano tale sua audacia intellettuale, intrisa di slancio di fede.
Il modo migliore di onorare un pensatore come è Carlo Molari – non sta solo nel ricordarne la vita e le opere, ma principalmente nel continuare a pensare con e oltre il suo pensiero. Ritengo che molte istanze dell’attuale corrente di pensiero teologico, radicata anch’essa nella consapevolezza silenziosa dell’ineffabile presenza ed azione creatrice di Dio in tutto il cosmo, cioè il post-teismo, stia portando avanti la testimonianza di fede e la ricerca intellettuale di Molari. Molti dei temi toccati da Molari sono ben presenti al centro della riflessione di quei teologi – cosiddetti «post-teisti» – che da alcuni anni vengono ad essere conosciuti anche in Italia. Per citarne alcuni: John Shelby Spong, Roger Lenaers, José Maria Vigil, Mary Judilh Ress, Diarmuid O’Murchu, José Arregi e Santiago Villamayor. Per una prima conoscenza del post-teismo si può far riferimento ai quattro volumi della serie, Oltre le religioni, pubblicati da Gabrielli editori.
Il post-teismo cos’è?
Ma cosa è il post-teismo? Una prima risposta può essere: il semplice rendersi conto che Dio – così come viene ancora pensato e vissuto dalle religioni istituzionali – non è ormai più credibile. La coscienza religiosa delle nuove generazioni risulta essere più secolarizzata, agnostica e indifferente: sembra che non si avverta più la necessità del trascendente. Non siamo solo oItre-Dio o dopo-Dio ma anche oltre la domanda sull’esistenza di un Dio così (teista). Siamo nell’era del post-teismo. L’atteggiamento post-teista è allo stesso tempo post-ateista. A differenza dell’ateismo, il post-teismo non rifiuta qualsiasi trascendenza ma solo l’immagine teista di un Dio separato dal mondo e che, di volta in volta a sua discrezione ed arbitrio, interviene ora qui ed ora là. Questo paradigma religioso è entrato in crisi a partire dall’età moderna ma persiste nel modo con cui i credenti vengono formati.
Ritroviamo qui quello che è stato uno degli interessi più rilevanti nell’attività pastorale di Molari: educarsi ad una fede adulta. Sempre più stiamo assistendo, infatti, ad uno scollamento inarrestabile tra i vari piani della comunicazione della fede cristiana: il piano liturgico-devozionale del popolo di Dio; iI piano catechetico-tradizionale degli educatori; il piano formativo intellettuale dei leader (laici, candidati al ministero e preti); infine, il piano accademico di ricerca (professori e ricercatori). Questi piani sono attualmente divisi e senza contatto tra loro. Abbiamo bisogno di un linguaggio della fede che sia in grado di dialogare con la modernità (e post-modernità), capace ridire la fede con nuove categorie, immagini e paradigmi. Non si tratta di fare un’opera di maquillage del Catechismo o del Credo, ma ripensare la fede tenendo presente il contesto in cui le nuove generazioni diventano sempre più indifferenti alla proposta di fede e un numero considerevole di cattolici adulti abbandonano, ormai delusi, una chiesa divenuta immobile e formalista. C’è bisogno di nuovi paradigmi per ridire la fede. Già nel 1972 Molari con il suo libro, La fede e il suo linguaggio (Cittadella editrice). aveva intuito l’emergere di questo bisogno e la necessità di assumere nuovi paradigmi di comprensione della fede cristiana.
Necessità di un dialogo tra teologia, scienza e mistiche
Come fu per Molari così anche per il post-teismo, è divenuto necessario un dialogo inter- e transdisciplinare tra la teologia e le scienze, tra cristianesimo e altre tradizioni mistiche, ben oltre gli steccati ideologici tra credenti e non credenti, laici e cattolici. Dialogando con la scienza e le altre tradizioni religiose, il post-teismo si domanda se Dio sia da considerati personale, impersonale o transpersonale. Infatti, Dio non può essere più compreso come Qualcuno lassù in alto da adorare e che interviene a suo piacimento, ma come una realtà che ci avvolge e ci sostiene sempre – come disse l’apostolo Paolo citando un poeta pagano «In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poiché di lui stirpe siamo» (Al 17,28). La nuova stagione che si va inaugurando, da questo punto di vista , è il superamento della visione classica della religiosità e ci sta conducendo verso una riflessione areligiosa, profondamente laica della realtà.
La visione post-teista di Dio può essere definita panenteista. Il creato non è visto come qualcosa fuori dall’essere di Dio, ma «in» Dio. In tal modo si vuole abbandonare la concezione interventistica e soprannaturalistica della presenza e dell’agire di Dio nell’universo e in particolare nella storia umana, poiché questa contraddice l’odierna comprensione scientifica dell’universo, e finisce per comprendere Dio come un essere mondano, ovvero come se Dio fosse una porzione del mondo.
La comprensione post-teista si distanzia, perciò, dalla concezione mitologica di Dio così come è presentata nella Bibbia, e rinuncia ad oggettivare il divino come qualcosa di straordinario nel mondo, come se Dio aggiungesse un surplus di sue azioni speciali (incarnazione, resurrezione e redenzione finale) all’unica sua azione creatrice. Si potrebbe obiettare che la concezione teista di Dio sia stata già negata dal deismo nell’illuminismo. Secondo i deisti del XVIII secolo, Dio avrebbe creato il mondo come fa un orologiaio e dopo aver dato avvio alla sua opera, Dio avrebbe lasciato il mondo alle sue leggi, senza più interferire ed intervenire. «[Il] deismo riduce Dio alla trascendenza, misconoscendo la sua immanenza nel mondo. Spesso, in questo tipo di deismo, si è riconosciuto, e giustamente, il pericolo di un larvato ateismo. Infatti, un Dio che non agisca più vitalmente nel mondo, in ultima analisi è un Dio morto. E tuttavia certi motivi deistici si trovano presenti anche ai nostri giorni, quando ad esempio si discute sulla possibilità dei miracoli, sul senso della preghiera e sulla fede nella provvidenza di Dio» (W. Kasper, Il Dio di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia 1984, p.38).
Ora, il post-teismo non fa sua questa immagine deista di Dio, ancora concepito separato dal mondo e che lascia andare il mondo come fa una causa con il proprio effetto. Ma nemmeno accetta l’immagine teista di Dio come agente ed attore nel mondo e operante nella storia dell’umanità. Il post-teismo, invece, afferma che Dio è attivo nel mondo – anzi «Dio opera il mondo e non propriamente agisce nel mondo» (Karl Rahner, Corso fondamentale sulla fede, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1990, p.123) – senza esservi attore.
Considerare Dio alla stregua di un attore che opera nel palcoscenico del mondo e della storia è ancora comprenderlo ente tra gli enti, un individuo sopra-naturale tra tanti altri individui naturali. Forse un ente più potente (che fa miracoli, si incarna e risorge, crea il mondo e lo giudica) ma pur sempre pensato alla stregua degli altri enti. Un Dio così concepito è per definizione il più grande fra tutti gli esseri: il Sommo Ente.
Dio non fa ma fa che le cose si facciano
Il post-teismo non considera Dio inattivo nel mondo: così facendo si negherebbe che Dio sia infinita attività (in greco: energia), atto puro, realtà assoluta. Il post-teismo concilia le due esigenze sottese al teismo (Dio interviene nel mondo) e al deismo (Dio si ritrae dal mondo), precisando che Dio è potenza attiva. Dio è la potenza assoluta che fa sì che le cose si facciano. Questa è l’ispirazione di Teilhard de Chardin, ispiratrice del pensiero e della spiritualità di Molari: «A rigor di temini, Dio non fa; Egli fa sì che le cose si facciano» (P. Teilhard de Chardin, La mia fede: scritti teologici, Queriniana, Brescia 1993, p.33). Anche Rahner riprende tale espressione e la sviluppa nella sua concezione dell’auto-trascendenza del creato. Il divenire del mondo – per cui dallo scimpanzè si è passati all’homo sapiens – non è causato da un agente soprannaturale ed esterno al mondo. Il passaggio dal meno al più, da uno stato inferiore ad uno superiore, non è avvenuto per un intervento divino dal di fuori dell’ordine creato, ma in virtù dello spirito immanente alla materia che muove dall’interno ogni cosa, rendendo questa capace di trascendere se stessa. «Dio interviene con la sua potenzia ed influsso trascendentali non già aggiungendo additivamente ed estrinsecamente il superiore all’inferiore, bensì concedendo a quest’ultimo la potentia di andare oltre se stesso» (K. Rahner, Compimento immanente e trascendente del mondo, in Nuovi saggi, III, Edizioni Paoline, Roma 1969, pp.669-689, qui p.687).
Dunque, le accuse rivolte al post-teismo di essere una riedizione del deismo del XVIII secolo sono infondate, poiché non tengono conto che il XX secolo ha conosciuto in ambito teologico un superamento delle dualità di grazia e natura, naturale e soprannaturale, creazione e incarnazione, che avevano caratterizzato la teologia preconciliare. La teologia immediatamente precedente al Concilio Vaticano II (Nouvelle theologie) e quella seguente (Rahner, Congar Chenu, Schillebeeckx e Molari) hanno tentato di superare questa visione dualistica della realtà, comprendendo sempre più il cosmo in Dio e Dio presente e attivo in tutte le creature. Questa è l’eredità che Molari ci ha lasciato. Questa è la sfida che il post-teismo intende non solo accogliere ma continuare, pur nella differenza degli approcci, in quanto il post-teismo – a differenza di Molari – ha assunto più esplicitamente la visione teilhardiana del Cristo cosmico e la comprensione panenteistica di Dio.