Il senso profondo e bello dell’amicizia
la convinzione di don Mario nasce dal vangelo: «non vi ho chiamati servi ma amici»
di Johnny Dotti
Le tre grandi crisi che hanno messo in discussione gli orizzonti del mondo occidentale negli ultimi vent’anni ci chiedono una conversione, una trasformazione. Ci chiedono un giudizio su noi stessi.
La distruzione delle torri gemelle nel 2001 e la conseguente diffusione mondiale del terrorismo, il crack finanziario del 2008 e la crisi mondiale che ne è seguita, la pandemia che ha sommerso tutti nel mondo, chiedono di non continuare indifferenti per la nostra strada, non è possibile dire semplicemente: «Ripartiremo».
Ripartire significa semplicemente rimuovere ciò che queste crisi ci stanno con forza dicendo.
Far finta di niente. Destinare le generazioni future a disastri inauditi.
Non si può non avvertire la necessità di riportare in un orizzonte di senso l’enorme sviluppo materiale conquistato in particolare in occidente. Fermarci, usare intelligentemente il pensiero critico. Convertirci.
Trasformarci.
Certamente la fraternità e l’amicizia sociale sono una via, esperienziale e istituzionale, per riscoprire il nostro essere persone, nodo di relazioni, e non banali individui, monadi separate dagli altri e dal mondo.
La fraternità invita a vivere una spiritualità incarnata e non astratta, a ritrovare una vocazione concreta, in grado di dar vita a una crescita integrale: intellettuale, corporea e spirituale.
La fraternità ci fa sentire «pars pro toto» non semplicemente «pars in toto», aiutandoci a non finire in derive tecnico funzionaliste alienanti e distruttive.
Fratelli cioè figli e creature.
Figli e creature amate.
C’è una via tradizionale per vivere, riscoprire e rigenerare il nostro essere fratelli: condividere.
Condividere quello che siamo e che abbiamo, superare un’idea mortifera di possesso, vivere la proprietà come una responsabilità e non come esclusività. Giocare il gioco della libertà con una visione radicale di relazione. Fonte di ogni gioia.
Non solo la nostra vocazione di persone chiede fraternità, ma oggi urgentemente lo chiede questo tempo e la sua necessità di trasformazione.
Possiamo trasformarci in fratelli e sorelle se sapremo condividere. Se ci alleneremo costantemente, in atteggiamenti e comportamenti, a condividere. Così forse avremo la grazia di vivere la fraternità.
Andiamo verso una situazione che rischia di essere connotata dalla verticalizzazione, con tutti i rischi di autoritarismo che porta con sé, dalla tecnocrazia, con tutti i rischi di alienazione, dalla separazione, con il rischio di nichilismo e emarginazione.
Ma questo, se lo sappiamo vivere profondamente, è anche uno straordinario trauma trasformativo che permette di alimentare l’autorità, che è l’arte di far crescere; la tecnocultura, dove il perché viene prima del come; la distinzione, perché l’identità è una relazione.
Il tempo e il luogo per questa nuova dinamica è la comunità. A cominciare dalla comunità ecclesiale.
Non c’è uomo senza comunità. Non c’è società senza comunità.
La comunità si genera, cioè si desidera, si mette al mondo, ce ne si prende cura, si trasforma, nella condivisione.
Condividere la domanda porta al senso, condividere il senso porta al consenso.
Condividere la fragilità porta alla solidarietà, condividere la responsabilità porta alla libertà, condividere i bisogni e i desideri porta alla politica e a una nuova economia. Condividere i talenti porta al valore, condividere gli spazi porta all’ospitalità, condividere il tempo porta all’eternità, condividere il dono è perdonare.
Condividere pensieri e parole è dialogare, condividere aspirazioni è sperare, condividere esperienze è narrare, condividere il proprio io è riconoscere che siamo un tu, condividere il noi è riconoscere il voi, condividere il sogno è generare nuovi mondi, condividere il silenzio è pregare insieme.
Perciò vanno sostenute tutte le esperienze che desiderano e vanno in questa direzione.
Promuovendole, accompagnandole, curandole, raccontandole.
Mettendole in connessione tra loro.
La sfida è una libertà, per tutti, più adulta e consapevole. Non c’è fraternità senza libertà. La fraternità non deriva da una legge, ma dall’amore.
Servono esperienze comunitarie concrete di condivisione: materiali, digitali, territoriali, intellettuali, lavorative, economiche, finanziarie, culturali, spirituali, ecologiche, politiche.
Queste sono esperienze istituenti. Vivono il presente e alimentano le istituzioni, aprono la via a forme istituzionali nuove, nel campo politico, economico, sociale ed educativo ad esempio.
Solo così, dal basso e insieme, si può e si deve sperare di transitare verso forme più giuste e vere di vita.
Solo condividendo si moltiplica il necessario. Ne avanza pure.
Solo condividendo si fa esperienza di fraternità. Di fraternità con tutti. Si fa esperienza di Dio.
JOHNNY DOTTI - Laureato in Pedagogia all’Università di Verona, è stato consigliere delegato e presidente di CGM, la più grande rete di imprese sociali in Italia; fondatore, amministratore delegato e presidente di Welfare Italia Impresa Sociale, dedicata allo sviluppo dei servizi per le famiglie e il benessere sociale inclusivo. Consulente e formatore, ha insegnato in varie Università italiane. È amministratore delegato di On Impresa Sociale e presidente dell’advisory board di Vita.
Il testo che riportiamo è un estratto dell’articolo pubblicato sul sito generativita.it il 4 maggio 2021. Ringraziamo autore e editore.