Il senso profondo e bello dell’amicizia
la convinzione di don Mario nasce dal vangelo: «non vi ho chiamati servi ma amici»
di don Carlo Molari
L’Eucarestia che celebriamo nella notte di Natale non vuole solo ricordare ciò che un giorno è avvenuto, cioè la nascita di Gesù, di cui non conosciamo con esattezza né il giorno né l’anno, ma vogliamo celebrare qualcosa di più profondo, quella che in termini tradizionali chiamiamo “incarnazione di Dio”, cioè la manifestazione di Dio attraverso l’umanità; in concreto attraverso la fedeltà di un “piccolo resto” di un popolo, e attraverso l’avventura di tutta l’esistenza di Gesù.
Noi celebriamo la manifestazione di Dio non solo nella nascita ma in tutta la vita di Gesù, perché l’incarnazione non è un istante, ma si sviluppa lungo tutto il cammino della storia di Gesù, fino alla Pasqua, fino alla rivelazione dell’amore di Dio sulla croce e alla gloria della resurrezione.
Questo è importante tenerlo presente perché allora comprendiamo qual è il significato per noi di questa celebrazione. Perché l’avventura di Dio nella storia umana continua ancora attraverso i nostri popoli, le nostre famiglie, le nostre singole persone.
Celebrando nel Natale la rivelazione di Dio nella storia umana noi ci interroghiamo su quali siano le manifestazioni che oggi l’azione di Dio può avere nella nostra umanità, a tutti i livelli. A livello planetario, perché oggi ci sono delle esigenze di giustizia, di condivisione dei beni tra i popoli della terra, ci sono delle esigenze di pace che non sono ancora state soddisfatte, anzi, alle quali non c’è ancora una risposta. E le risposte devono sorgere in mezzo a noi; in mezzo a noi debbono fiorire forme nuove di condivisione, di pace, di giustizia. E questo è possibile perché l’azione di Dio ancora può manifestarsi in forme inedite, mai ancora realizzate nella storia umana. Oggi noi celebriamo la possibilità di forme nuove di umanità; non celebriamo solo un evento passato, ma un’avventura di cui noi siamo attori, un’avventura che potrà avere negli anni futuri, nei secoli futuri – e per noi nei mesi e negli anni futuri – manifestazioni nuove, se accogliamo l’azione di Dio.
Pensate per esempio a livello familiare: oggi è chiaro che la famiglia richiede delle qualità di gratuità, di fraternità, di condivisione, di misericordia che in altri secoli non erano necessarie, anzi non erano neppure possibili. Il Natale in questo senso è una festa di famiglia: vengono avvertite in forma più profonda le esigenze di condivisione, di misericordia, di festa comune, di fraternità. Per questo non è sufficiente richiamarsi al passato e neppure rievocare le forme di vita familiare dei secoli scorsi: erano una impostazione culturale che conduceva a delle sofferenze e spesso a delle ipocrisie oggi impraticabili, perché la cultura si è raffinata e la coscienza è pervenuta a livelli superiori. Solo che non abbiamo ancora raggiunto quelle qualità di amore, di gratuità, di dedizione, quella capacità di gestire la sessualità nelle sue forme più elevate di attenzione, di misericordia, di tenerezza, che sono oggi necessarie per fare un passo avanti nella capacità di convivenza, nella capacità di misericordia e di perdono reciproco.
Questo è possibile oggi perché l’azione di Dio contiene delle ricchezze umane ancora mai accolte e manifestate. Quando la perfezione divina può esprimersi, diventa dono necessario per il proseguimento della storia umana.
Celebriamo allora il Natale di una nuova umanità, che richiede però la nostra consapevolezza, la nostra accoglienza e la nostra fedeltà nel cammino. Partecipiamo alla celebrazione del Natale proprio perché intendiamo dichiarare la nostra disponibilità a quelle forme nuove di dedizione reciproca, di misericordia, di perdono che oggi sono diventate necessarie perché possiamo continuare il nostro cammino sulla terra. Chiediamo allora al Signore la consapevolezza dell’impegno nuovo che ci è chiesto, ma soprattutto la grazia di poter proseguire questo cammino, perché la celebrazione del Natale rappresenti anche per noi una novità di vita, quella novità che gli angeli cantarono – è un’espressione simbolica, ma molto significativa – per celebrare la nascita dell’uomo nuovo, quello che ha indicato il cammino per tutta l’umanità.
Ma quanti sono oggi quelli che continuano questa storia? Quanti sono nel mondo i gruppi, le famiglie, le associazioni che hanno nel Vangelo questo riferimento e continuano questa storia di salvezza, per cui crescono figli di Dio che rivelano il suo amore? Sappiamo quante ingiustizie oggi nel mondo, quanti soprusi, quanta ricerca di dominio sugli altri, quanti inganni, quante violenze. Realmente possiamo chiederci: continua ancora la storia di salvezza? Ci sono ancora luoghi dove la Parola diventa carne e l’amore di Dio inventa forme nuove di fraternità, di condivisione, di giustizia?
È questo interrogativo che ci deve stimolare a entrare dentro di noi, perché è sempre nel cuore dell’uomo che fioriscono le novità di vita. Certo, attraverso i rapporti che vengono vissuti, attraverso le strutture comunitarie e sociali che si costruiscono, ma sempre nel cuore dell’uomo sorge la novità di vita. Allora ciascuno di noi può diventare questo luogo dove la Parola eterna fiorisce in forme nuove di dedizione, di servizio, di amore reciproco, che poi pian piano si espande, diventa struttura, cultura, legge e quindi forza che fa progredire la storia umana.
Chiediamo allora al Signore di costruire quasi delle «culle» nelle nostre case, perché il Figlio di Dio possa nuovamente nascere in mezzo a noi. Chiediamo di creare delle relazioni che consentano all’azione di Dio, a quella Parola eterna per cui è stato creato il mondo, come dice la lettera agli Ebrei, di diventare ancora gesto inedito, forme nuove di fraternità, perché oggi l’umanità è in ritardo rispetto alle esigenze spirituali necessarie per vivere questa stagione straordinaria della storia umana. Siamo in ritardo tutti, abbiamo pensieri vecchi, sentimenti sterili, incapacità di gesti d’amore. Ripetiamo cose antiche, che non sono sufficienti perché la storia possa procedere. Chiediamo allora al Signore questa capacità di diventare piccoli, di rinascere, perché la sua azione possa anche nei giorni nostri far crescere figli di Dio in mezzo a noi.
Il testo che proponiamo è tratto dalle omelie predicate da don Carlo Molari nella chiesa di San Leone Magno a Roma nella notte e nel giorno di Natale del 2008. Le dispense delle omelie, frutto delle trascrizioni curate da Ornella Stazi, non sono state riviste dall’autore ma ne riflettono fedelmente il pensiero e il messaggio.