da “Oreundici” di dicembre 2002
La mia prima lettera aveva un tono pessimistico perché fu scritta sotto l’impressione di due ragazzi uccisi sulla strada. Facevo l’analisi di questa società da cui i ragazzi della periferia sono assolutamente esclusi. Nella loro fantasia si presenta come una città murata in cui i coraggiosi possono entrare solo se armati, e i vili come cani randagi portatori di pericolosi contagi.
Come contrasto penso al FSE (Forum Sociale Europeo), una porta aperta ai giovani. Non la porta occidentale aperta giorno e notte per consumare e perdere il residuo di stimolo interiore a ricercare un senso. Ma la porta orientale aperta all’invito di cercare “l’altro mondo necessario”. Qui la città ha una sola porta, come quella di un appartamento dove si trovano ricchezze desiderate, e deve essere preso d’assalto. Eppure anche qui in America Latina dove la miseria si allarga ogni giorno di più, albeggia la speranza di una società alternativa alla società violenta del neoliberismo. La tragedia della nazione argentina, usata come cavia di un progetto economico americano e abbandonata quando il progetto è fallito, ad una decadenza mai immaginata nei duecento anni dalla indipendenza, sta scuotendo dalle fondamenta tutta l’America Latina.
Nella prima lettera promettevo di affrontare una domanda: che cosa può offrire la religione ad una società che non sa funzionare senza creare emarginazione e violenza? Vorrei proporre a voi giovani una riflessione su un fenomeno religioso avvenuto qui in Brasile che forse vi aiuterà a capire meglio il ruolo della religione nel progetto di un altro mondo necessario. Userò un metodo semplice e concreto che credo debba essere seguito per cambiare procedimenti astratti e lontani dalla realtà. Poco dopo la fine del Concilio Vaticano II (1962-65) nelle chiese del Brasile il popolo cantava inni di cui vi do un piccolo saggio scegliendo cinque canti fra i moltissimi raccolti in vari libri e opuscoli.
La nostra gioia è sapere che un giorno questo popolo sarà libero. Cristo è venuto a liberare i poveri ed essere cristiano è essere liberatore. Nasciamo liberi per crescere nella vita, non per essere poveri e morire nella sofferenza.
Canto dei senza-terra che marciano all’occupazione di una terra incolta:
Sia benedetta e lodata questa santa romaria (processione del tipo marcia della pace di Assisi),
benedetto il popolo che marcia avendo come guida Cristo.
A chi è debole e vacilla Dio dà forza;
chi ha paura soffre di più, chi si unisce al suo compagno vince ogni schiavitù,
è felice e trova la pace.
Il tuo popolo in altro tempo soffrì in Egitto tutti i dolori della schiavitù;
il tuo nuovo popolo che oggi ugualmente soffre attende da te la liberazione.
Un tempo marciasti con i tuoi amici e li hai guidati con mano forte e sicura.
Vieni ora a marciare con noi Signore della storia, nostra speranza.
A mesa tão grande e vazia de amor e de paz – de paz.
La tavola tanto grande e vuota di amore e di pace, dove c’è lusso di alcuni, gioia non c’è mai.
La tavola dell’Eucarestia ci vuole insegnare che l’ordine di Dio nostro padre è compartire il pane.
Fratelli compagni nella lotta diamoci la mano nella grande catena di amore in questa felice comunione.
Unendo la lotta e la certezza, costruiremo qui il progetto di Dio.
Tutto il popolo sorriderà.
Che in tutte le tavole del povero vi sia festa di pane e le tavole dei ricchi siano svuotate del superfluo.
O Maria della fraternità
solidale con tante marie
coronate di sangue e di spine
dallo sfruttamento giorno e notte.
Questi sono alcuni saggi dei numerosissimi canti che sorsero in Brasile nell’epoca della dittatura e accompagnarono le liturgie di tutte le chiese e molte iniziative di protesta del popolo. Mi parve che una inculturazione così rapida del pensiero teologico che generò la teologia della liberazione manifestasse una chiara presenza dello Spirito. Il popolo non dava un “passaporto a Dio” ma scopriva nella religione quei valori che garantiscono la vita di ogni persona. Questi canti furono come uno zampillo spontaneo perché la chiesa guidata dai vescovi si schierò contro la violenza che la dittatura esercitava sul popolo. Le omelie non volavano nei cieli di Platone ma partivano dai bisogni che il popolo apriva con fiducia e speranza al Padre misericordioso. Questa novità non poteva avvenire nella vicina Argentina dove la chiesa era alleata con i militari. Persino due strofe del canto Magnificat furono soppresse. I militari non sopportavano che Dio deponesse i potenti dal trono ed esaltasse gli umili. E questa decisione così infelice della dittatura argentina chiarisce due dubbi: il primo è che questi canti non sono innocui perché nascono dalle condizioni reali di povertà e dal rifiuto di questa condizione. Maria non solo non è d’accordo con i potenti che dominano la nazione ma vuole rovesciarli. Sa di non poterlo fare sola e conta sull’aiuto di Dio. Chi facilmente vi trova la presenza dell’alienazione vuol dire che non ha vissuto con i poveri questo tempo indimenticabile.
Ho citato questi canti per fare chiarezza su temi che oggi sono sul tavolo. I responsabili della chiesa appaiono molto preoccupati dell’inculturazione del vangelo o piuttosto del loro cristianesimo. E pensano di assolvere il compito dell’inculturazione affidandolo come sempre a commissioni che lavorano con la testa, lontani dal popolo. Mentre è solo il popolo l’autore dell’inculturazione. La teologia della liberazione precede le iniziative di resistenza ai tiranni, oppure ne è la conseguenza? La risposta è molto difficile; ma è evidente che questa teologia non poteva nascere in Canada. Per l’inculturazione basta che la chiesa non esiga che il popolo lasci fuori dalla porta i suoi bisogni reali, le sue sofferenze vere, il suo vero dovere di unirsi e di lottare. Questi canti ne sono la prova, in questi è sparito l’io, l’anima, l’arcano, appare il noi, la terra, l’ambiente, la storia reale. Non un invito a spedire l’anima verso Dio come i ragazzi spediscono gli aquiloni verso l’alto, ma si ricorda a Dio di essere sceso e di essersi impegnato a vivere come alleato del popolo.
Questi canti improvvisamente sono spariti dalla circolazione, messi negli archivi. Nelle chiese cattoliche si sentono solo canti spiritualistici. I poveri pensano con ragione che è meglio andare nella cappella vicina dove non si esigono anni di studio catechistico e dove “non ci chiedono se siamo sposati o conviventi”. La chiesa cattedrale della mia città da cui vi scrivo ha raccolto in un volume 660 canti e vi sono ancora alcuni canti che chiedono giustizia, liberazione, solidarietà, ma non si cantano più. I canti sono tornati all’io o al noi come somma di tanti io e non come incontro vero comunione nella ricerca di una meta comune. Ti amerò Signore, ti amerò, io trovo gioia e pace solo vicino a te. O Maria, madre mia, voglio parlarti di amore. Mostrare che nel mio petto aperto coltivo un giardino di fiori, un giardino di rose senza spine per non farti male. Non insisto sulle citazioni perché canti di questo tipo li ascolterete nelle chiese italiane. I canti mettono a confronto in maniera più chiara di tutte le infinite dissertazioni il cristianesimo popolare o dei poveri e il cristianesimo dei ricchi. E ci conducono necessariamente a una scelta.
Voi giovani siete esistenzialmente dalla parte dei poveri, perché? Perché è la parte che deve unirsi per costruire un nuovo mondo, e voi, nonostante l’anagrafe non siete più giovani se state dalla parte di quelli che passivamente accettano questo mondo e non ripudiano la società neoliberista. Ho raccolto spesso il vostro disagio di continuare ad essere membri di una chiesa che appare nella pratica insensibile ai problemi della giustizia ed oggi è venuto il momento di essere conseguenti. Credo che quel tipo di religiosità di cui si è parlato nel FSE di Firenze avvenga spontaneamente attraverso l’inculturazione popolare se il progetto di un mondo differente non imita i progetti nati dal solo pensiero come la Città di Dio di Agostino o la Città del sole di Campanella o la Repubblica di Platone ma progetti che sorgono dalle lacerazioni reali che l’egoismo collettivo ha prodotto nel tessuto della natura e in quello della convivenza umana.
Vi auguro un Natale non consumistico ma dedicato alla seria riflessione, all’autocritica, alla solidarietà e vi saluto con affetto.