Ampliare la capacità di accogliere la vita.
Il grande problema dell’uomo è il senso del vivere. Trovare un senso all’esperienza della vita, che è così complessa e a volte contraddittoria, è il cammino di ogni uomo. Le spiritualità rappresentano le risposte che le varie tradizioni religiose hanno dato a questa ricerca, ciascuna con le proprie caratteristiche e specificità. Oggi il mondo occidentale in cui viviamo si caratterizza per un eccesso di produzione, di consumi, di offerte di ogni tipo che alimentano scompensi sociali enormi e allo stesso tempo rivelano il proprio vuoto profondo. Tutto ci induce ad avere, ad aggiungere, a rincorrere oggetti o risultati sempre nuovi come se lì vi fosse la risposta alla ricerca di senso del vivere. Ma ci sono molte persone che provano una grande sofferenza di fronte alla vita e alle sue difficoltà. Provano un senso di frantumazione, di fragilità, di incapacità di fronte ai problemi. Spesso sono strutturate nella logica di cercare di rispondere alle aspettative degli altri invece di cercare il nucleo più autentico della propria identità. Tutte le proposte consumiste che tendono ad omologare i comportamenti e le scelte fanno leva su questa fragilità di base. Ci sono anche forme di spiritualità che non giovano a queste situazioni poiché propongono modelli esterni di comportamento, pratiche da osservare, obiettivi da raggiungere, prescrizioni e regole che costruiscono una sovrastruttura che fa da coperchio alla sofferenza impedendole di esprimersi ma lasciandola presente in modo latente.
Con quali strumenti allora è possibile riscoprire il gusto e il senso del vivere? Ci sono diversi livelli di cammino. In primo luogo è necessario fare i conti con la propria educazione e con le ansie assorbite durante la propria crescita, alcune delle quali sono entrate strutturalmente dentro di sé. Occorre avere la consapevolezza della nostra struttura psichica, delle angosce ricorrenti che ci abitano, dei meccanismi ripetitivi che si attivano nella nostra vita. È importante conoscere la mappa dei “pesi” che la vita ci ha consegnato quando ci è stata donata, in modo da attivare gli “antidoti” che ci consentono di liberarci da questi conflitti e difficoltà. Abbiamo detto più volte che gli aiuti offerti dalle scienze moderne possono essere essenziali quando le sofferenze hanno bisogno dell’accompagnamento di un esperto per venire alla “parola” cioè per emergere dal profondo. Il secondo aspetto riguarda la scelta di una spiritualità che sia liberante. Bisogna orientarsi verso quelle esperienze che fanno ritornare all’interiorità, al profondo di se stessi, e che insegnano l’ascolto dei meravigliosi processi di vita che sono presenti in ogni cuore. Non si tratta tanto di indurre a “fare la meditazione” o compiere altre pratiche, quanto di liberarci da tutto ciò che impedisce di prendere contatto con questo strumento che ogni animo si porta dentro. Parliamo di spiritualità del “levare”: levare ciò che di superfluo occupa tempo, pensieri, risorse per restituirle alla parte più essenziale e profonda della nostra vita. Ciò di cui non siamo abbastanza consapevoli è che tutta la ricchezza della vita ci è stata donata ed è a nostra disposizione. Non dobbiamo cercarla fuori di noi o presso gli altri, dobbiamo invece ampliare la capacità di accoglierla e viverla. Per fare questo c’è bisogno di un lavoro, di una metodologia che è appunto quella del “levare”.
Don Mario De Maio
(da “Oreundici” di gennaio 2013)