Dio è tenerezza e la tenerezza ci porta dove nasce la vita.
Abbiamo bisogno di questa tenerezza ogni giorno per poter vivere l’esperienza della rinascita.
Il grande problema è ritornare a noi stessi. Ritornare dentro di noi, riprendere contatto con la nostra estrema fragilità, con la nostra povertà per poter poi, in un processo di integrazione, uscire e andare verso l’altro.
Per questo abbiamo bisogno di interiorità. L’interiorità ci deve portare a riprendere confidenza con i nostri meccanismi di scissione, di fragilità. Dobbiamo darci lo spazio per ascoltare i gemiti della vita offesa dentro di noi, quella vita che anche noi spesso offendiamo. Anche l’irrequietezza, l’insofferenza sono messaggi che parlano. Dobbiamo fermarci e domandarci che cosa esce da noi stessi, qual è il messaggio che una malattia, una sofferenza, la depressione, la rabbia, il desiderio di vendetta dicono prima di tutto a noi stessi.
A chi dobbiamo ispirarci? Gesù ci dice che Dio fa piovere sui buoni e sui cattivi, vuole bene a tutti sempre e incondizionatamente. Dio è tenerezza. La tenerezza secondo gli studiosi, sia nel corano che nella sacra scrittura, si collega con il ventre, con le viscere materne. La tenerezza ci porta dunque dove nasce la vita. Abbiamo bisogno di questa tenerezza ogni giorno per poter vivere l’esperienza di una continua rinascita, la possibilità di continuare la nostra esperienza quotidiana del semplicemente vivere. Ancora una volta le parole di Etty Hillesum ci aiutano nella nostra ricerca:
«Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. […] Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sè stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo».
Buon Avvento.