Una parola calda e familiare, che è dimostrazione di affetto e benevolenza, attraverso parole, gesti, sguardi, ma soprattutto con il leggero tocco della mano sul volto di una persona cui si vuole bene. La carezza è cibo per il corpo e per la mente, soprattutto nei primissimi tempi di vita quando è essenziale alla sopravvivenza e all’equilibrato sviluppo psicofisico.
Un gesto semplice e umile, dimostrazione in atti o parole di un modo di essere affettuoso.
La carezza non riesce ad astrarsi, a restare in una dimensione riposta e interiore, esiste solo come espressione concreta.
Un gesto di contatto, di tenerezza istintiva, discreta, basato su una parola enorme: “caro”, ovvero amato, secondo l’origine indoeuropea del termine.
Dalle origini duecentesche che definivano carezza ogni moina, ogni festa, ogni attenzione, attraversando i secoli questa parola si è venuta caratterizzando come il tocco leggero della mano che passa su un corpo caro con affetto, benevolenza, sensualità.
Nel nostro tempo sono tanti gli artisti che hanno usato questa parola per esprimere i loro versi canori.
Nelle vetrine, dietro ai bistrot / ogni carezza della notte è quasi amor (Gianna Nannini), E dal pugno chiuso / Una carezza nascerà (Adriano Celentano); Angoli di tenerezza / dentro a una carezza quasi vera (Enrico Ruggeri); C’è uno zingaro nascosto dentro un cane senza razza / Se lo incontrerai per strada non negargli una carezza (Alex Britti).
Ma soprattutto è la psicologia ad avere indagato il messaggio presente nella carezza.
E ad affermare che la carezza, quando è sincera, esprime piacere sia in chi la riceve sia in chi la dà, che si manifesti in gesto, parola, sguardo, postura, intonazione della voce. E tuttavia il suo valore positivo può trasformarsi in negativo quando contenga un intento manipolatorio o velare un’offesa.
Ogni comunicazione umana può essere considerata una carezza, positiva o negativa che sia; sicché quando non si ottengono carezze piacevoli, se ne cercano di spiacevoli perché non si può vivere senza. Tutto ciò riguarda non soltanto le relazioni interpersonali, ma anche il colloquio interiore di ciascuno, che può essere caratterizzato da carezze positive, quali l’autoriconoscimento e l’autostima, o negative, quali il giudizio e il biasimo verso se stessi.