di Chandra Livia Candiani
Casa è una parola carica di ambiguità per me o meglio di ambivalenze. Nell’infanzia è stata il luogo del pericolo, della minaccia e mi ha salvato un giardino, la presenza degli alberi e dei gatti, l’aperto. Poi sono stata spesso una fuori luogo e lo sono tuttora, così, ‘casa’, praticando la meditazione, è diventato il mio corpo. Casa precaria, mutevole, fragile, ma con un senso di ritorno, perché è il luogo dove si respira, e il respiro va e torna, torna e va, finché andrà senza ritorno.
Durante la pandemia, ho lasciato la mia casa a Milano, inconsapevole che sarebbe stato per sempre. Ora sono ospite ancora per almeno un anno, nella cascina del mio compagno, sono in transito, aspettando che sia pronta una nostra casa nei boschi. E il bosco è il luogo in cui mi poso, respiro, sono viva senza paura o per mano allo spavento di quello che non conosco.
Un giorno sarà l’infinito la mia casa e pensare alla smisuratezza fa timore. A me piace fare tana ovunque mi trovi e se non posso, vuol dire che non è posto per me.
Le donne di Kabul non hanno casa, ma nascondigli. In India i bambini escono dai ripari di fortuna sotto i temporali con piatti di ferro a raccogliere la grandine: il loro gelato. Nella città ricca in cui ho vissuto, di notte ho visto preparare giacigli improvvisati e dormire per terra sotto le luci dei negozi, perché le luci fanno caldo. Spessissimo quando vado a dormire penso a chi dorme senza casa, a come il sonno non sia un diritto per tutti, a come si possa dormire senza protezione alcuna, nel pericolo.
Ma quel che più fa male è che in così pochi consideriamo casa il pianeta in cui viviamo, casa viva, casa da proteggere e custodire. Non sono un profeta di sventura, ma non si può non legare la pandemia alla situazione globale del pianeta e quest’ultima ai nostri comportamenti incuranti e folli, come se il pianeta fosse un fondo da cui attingere infinitamente e senza riguardo, per dargli in cambio veleni, stermini, invasioni, economie predatorie. Accorgersi di quello che sta succedendo, sentire che tutto è legato e interconnesso, può spaventare, certo, ma anche risvegliare, far fare scelte diverse, comprendere che il patriarcato sta crollando e che si muore, si viene uccisi, perseguitati, si scappa per necessità e si viene trattati come invasori e banditi, tutto questo è collegato. Niente è fuori cornice. E la cornice è la nostra consapevolezza.