Dinanzi alla complessità di meccanismi disumani – gestiti chi sa dove, chi sa da chi – l’individuo è sempre più disorientato, si sente perso, e finisce così per fare semplicemente il suo piccolo dovere nel lavoro, nel compito che ha dinanzi, disinteressandosi del resto e aumentando così il suo isolamento, il suo senso di inutilità. Per questo è importante, secondo me, riportare ogni problema all’essenziale. Se si pongono le domande di fondo, le risposte saranno più facili.
Vogliamo eliminare le armi? Bene: non perdiamoci a discutere sul fatto che chiudere le fabbriche di fucili, di munizioni, di mine anti-uomo o di bombe atomiche creerà dei disoccupati. Prima risolviamo la questione morale. Quella economica l’affronteremo dopo. O vogliamo, prima ancora di provare, arrenderci al fatto che l’economia determina tutto, che ci interessa solo quel che ci è utile?
«In tutta la storia ci sono sempre state delle guerre. Per cui continueranno ad esserci», si dice. «Ma perché ripetere la vecchia storia? Perché non cercare di cominciarne una nuova?» rispose Gandhi a chi gli faceva questa solita, banale obbiezione.
Ancor più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi. Sono in passioni come il desiderio, la paura, l’insicurezza, l’ingordigia, la vanità. Lentamente bisogna liberarcene. Dobbiamo cambiare atteggiamento. Cominciamo a prendere le decisioni che ci riguardano e che riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse. Facciamo più quello che è giusto, invece di quel che ci conviene. Educhiamo i figli ad essere onesti, non furbi. … E’ il momento di uscire allo scoperto, è il momento d’impegnarsi per i valori in cui si crede. Una civiltà si rafforza con la sua determinazione morale molto più che con nuove armi. Soprattutto dobbiamo fermarci, prenderci tempo per riflettere, per stare in silenzio. […] Allora buon viaggio! Sia fuori che dentro.
Tiziano Terzani da Lettere contro la guerra (Longanesi, 2002)