dal blog CONFINI di Pierluigi Mele – Chiese 26 ottobre 2016
Il prossimo 31 ottobre Francesco sarà a Lund ,in Svezia, per prendere parte, insieme a vari rappresentanti della Chiesa luterana, a una cerimonia commemorativa dei 500 anni della Riforma. Un evento ecumenico a dir poco eccezionale se si guarda alla storia europea degli ultimi cinque secoli. In particolare ai conflitti, ma anche ai tentativi di unità falliti nel corso della storia del cristianesimo europeo. Fino al Vaticano II la figura di Lutero era per i cattolici negativa (salvo rare eccezioni tra qualche teologo cattolico). Dopo il Concilio le cose sono cambiate. Il cammino ecumenico ha fatto grandi progressi. E’ quello di Lund può segnare davvero una svolta positiva per le Chiese cristiane. Per capire i risvolti storici di questo straordinario evento, abbiamo intervistato lo storico del cristianesimo, e pastore valdese Paolo Ricca. Ricca è tra i protagonisti del cammino ecumenico.
Professor Ricca, la prossima settimana Papa Francesco si recherà nella storica, per la Chiesa Luterana svedese, cittadina di Lund per assistere all’inizio delle celebrazioni per i 500 anni della Riforma luterana. Un fatto storico che può avvicinare sempre più cattolici e luterani. Per Lei ?
Per me è un fatto storico di grande rilievo per molti motivi. Per esigenze di brevità ne menziono solo due. Il primo è ovvio: la presenza del papa a Lund è una novità assoluta. È la prima volta nella storia che un papa partecipa pubblicamente alla celebrazione della Riforma, che da Roma è stata, per oltre quattro secoli, condannata come eretica e giudicata, fino al concilio Vaticano II (1962-1965), deviante rispetto alla verità cristiana. La presenza del papa a Lund modifica profondamente questo verdetto negativo e implica un giudizio positivo: la Riforma è stata, nell’insieme, un bene. Il secondo motivo è che il papa, recandosi a Lund continua il processo di decentramento rispetto a Roma, già da lui iniziato da tempo, ad esempio andando in Africa a inaugurare il Giubileo straordinario della misericordia. L’unità cristiana, secondo questo papa, si costruisce «camminando insieme», ma non si direbbe che questo cammino comune porti necessariamente a Roma. Non c’è dubbio che il viaggio del papa a Lund contribuisca ad avvicinare cattolici e luterani, ma non nel senso di riportarli tutti all’ovile romano.
Sicuramente alla base di questo gesto di Papa Bergoglio, un papa molto attento gestualità, c’è il mutato atteggiamento dei cattolici verso la figura di Lutero. Tanto che il Papa ha fatto recentemente una affermazione molto significativa: Lutero fu “una medicina” per la Chiesa cattolica. Lei come interpreta questa affermazione?
Il giudizio dei cattolici su Lutero è molto cambiato in questi ultimi decenni. Dicendo che Lutero fu «una medicina» per la chiesa cattolica, il papa ha detto un’indubbia verità, anche se occorre precisare che la chiesa cattolica, nella scia e in alternativa alla riforma di Lutero, ha attuato, con il concilio di Trento (1545-1563) una sua riforma, e contemporaneamente una controriforma, proprio per non assumere la «medicina» proposta da Lutero. È comunque accertato che, sia pure solo indirettamente, la «medicina Lutero» ha giovato anche, e non poco, alla chiesa cattolica.
“Dal conflitto alla comunione” è il titolo di un importante documento luterano-cattolico, fatto dalla Commissione luterana-cattolica per l’unità, dove si esplicita il paradigma del cammino fatto dagli anni 80 ad oggi. Si riconosce che “siamo colpevoli dinanzi a Cristo di avere infranto L’unità della Chiesa”. Il documento afferma anche che l’anno giubilare ci presenta ci presenta due sfide: la purificazione e la guarigione delle memorie, e la restaurazione dell’unità dei cristiani secondo la verità del Vangelo di Gesù Cristo (cf. Ef 4,4-6). Anche se non siamo ancora alla piena unità, ciò che ci unisce è molto più di quello che ci divide. Le chiedo: dopo il consenso sulla dottrina sulla giustificazione per fede, cosa manca per sigillare la piena comunione?
Mancano due cose. La prima è il riconoscimento delle chiese evangeliche come chiese di Gesù Cristo, e non come «comunità ecclesiali» (come ha detto il concilio Vaticano II), che non si sa bene che cosa significhi (o si è chiesa o non lo si è!), e comunque è una definizione nella quale le chiese evangeliche non possono riconoscersi. Senza questo riconoscimento la comunione non è possibile. La seconda cosa che manca è una piattaforma dottrinale comune, formulata insieme, nella quale si dice qual è l’«essenziale cristiano» che tutti devono condividere perché ci sia comunione di fede, e quali sono invece le dottrine, le scelte etiche e le pratiche di pietà sulle quali si può essere di pareri diversi senza che questo impedisca la comunione.
Quanto alla «purificazione e guarigione delle memorie» è un’operazione necessaria ma delicata: richiede prudenza, pazienza, intelligenza spirituale e senso della storia.
Professore torniamo a Martin Lutero. Lei è un insigne storico del Cristianesimo, allievo di Oscar Cullmann (tra i più grandi teologi del ‘900). Come è cambiata la storiografia cattolica e protestante sul riformatore tedesco ? Qual è il punto comune raggiunto su Lutero?
La storiografia cattolica su Lutero è, come già ho detto, molto cambiata Fino ai primi del Novecento, Lutero era un «monaco impossibile» (così lo chiamava Nietzsche), o ribelle, o malato, comunque eccessivo, intemperante, deviante, che ha ubbidito a diversi impulsi, ma non a un’esigenza di fede. Poi gli storici cattolici hanno cominciato a riconoscere in lui un’autentica ricerca religiosa. Poi si è ammesso che, almeno su alcune questioni, Lutero è stato – come disse il cardinale Willebrands negli anni Ottanta, «il nostro maestro comune». Oggi il traguardo raggiunto insieme è quello di considerare Lutero un vero riformatore della chiesa cristiana.
Dal suo punto di vista valdese che prospettiva vede per il cammino ecumenico?
Le prospettive per il cammino ecumenico sono buone nel senso che là dove, in qualunque chiesa, si spiega che cos’è l’ecumenismo e che cosa vuole raggiungere, esso è accettato volentieri e anche, talvolta, con entusiasmo. L’ecumenismo sembra a tutti quelli che lo conoscono e capiscono, una bella prospettiva, anzi una scelta necessaria: oggi non si può essere cristiani senza essere ecumenici. L’ecumenismo è iscritto nel futuro della cristianità tutta; il suo futuro può solo essere ecumenico. Purtroppo però bisogna riconoscere che l’ecumenismo è ancora, in tutte le chiese, un fatto largamente minoritario. Tanti dialoghi tra le chiese sono in corso, ma le chiese ragionano e agiscono ancora nel senso del monologo, come si ciascuna di loro fosse l’unica chiesa esistente. Lo si vede, tra l’altro, dal fatto che molte chiese non praticano tra di loro l’ospitalità eucaristica: ciascuna cioè celebra da sola la Cena del Signore, senza ospitare i cristiani delle altre chiese. Dunque, la situazione ecumenica della cristianità è ancora al quanto contraddittoria. D’altra parte il cristianesimo è l’unica grande religione al mondo nella quale esiste un movimento ecumenico. Non solo, ma oggi sembra che cresca il consenso tra le chiese nel concepire come «diversità riconciliata» l’unità cristiana che esse stanno cercando di manifestare.
Cosa significa, per lei, celebrare i 500 anni la Riforma in un’epoca di globalizzazione?
La Riforma fu, nel XVI secolo, un evento globale, che non riguardò la Germania soltanto, ma l’intera Europa. Per me, celebrare i 500 anni della Riforma è anzitutto un atto di gratitudine a Dio per averla suscitata. In secondo luogo è un’assunzione di responsabilità. La responsabilità è quella di rivivere nel nostro tempo l’eredità che la Riforma ci ha lasciato, che riassumerei così: annunciare la realtà di Dio come grazia e libertà.