Messa del Giorno – Anno CGv. 1, 1-18
25 dicembre 2000
Chiamati a diventare figli dalla Parola che opera nella storia
Il prologo del quarto Vangelo ci consente di rievocare il lungo cammino compiuto dalla Parola divina (in ebraico Dabar) da quando il nostro universo esiste. Il termine Dabar, che in greco è tradotto Logos, in latino Verbum e che noi traduciamo Parola, in realtà, come tutti i termini delle lingua antiche, vuol dire molto di più. Potremmo dire che il prologo ci consente di seguire il percorso del pensiero di Dio e della sua energia creatrice in azione nei processi della natura e della storia.
La rievocazione di questo percorso ha la finalità di farci scoprire il senso del nostro impegno di fede. Potremmo dire che questa rievocazione è ordinata ad una prassi, a decisioni necessarie per rendere efficace oggi la Parola divina e orientarne i percorsi sulla terra.
La memoria di questo tragitto mette infatti in luce la continuità della nostra piccola storia con la grande avventura dell’universo, della creazione e dell’umanità: noi siamo piccoli attori inseriti in un processo immenso. Esso è affidato, sulla terra, alle nostre deboli mani, ma questo non ci sgomenta perché sappiamo che la nostra azione è attraversata da una forza divina e sostenuta da un’energia creatrice: dalla Parola eterna che in Gesù ha preso carne, come dice la metafora di Giovanni (1,14).
La ragione della preghiera e della riflessione di questo Natale risiede appunto nel fatto che anche noi siamo sollecitati a continuare questo cammino.
Le resistenze alla Parola.
Il brano che abbiamo ascoltato probabilmente è un inno cristologico delle prime comunità cristiane, sorto forse nella comunità del Quarto Evangelista: un inno cristologico in cui è rievocata la trama della Parola eterna nelle anguste strettoie delle manifestazioni create.
La prima idea che emerge con chiarezza dal disegno grandioso che l’evangelista delinea è la potenza della Parola divina, ma insieme la resistenza che essa suscita nella creazione e nella storia, man mano che la sua azione procede. La forza creatrice, infatti, introduce continue novità e la novità deve crearsi spazi di accoglienza all’interno di strutture precedentemente create. Ciò provoca appunto resistenza e rifiuto. Nell’umanità è il peccato: l’azione divina si dispiega sempre attraverso creature e quindi in forme limitate e imperfette finché non giungono a compimento.
Ma non dobbiamo pensare che il male sia cominciato solo con il peccato degli uomini. Il peccato è la forma libera della resistenza alla forza creatrice, alla novità che vuole emergere e vuole esprimersi nella nostra specie, ma anche prima dell’umanità, nei miliardi di anni precedenti la vita sulla terra (che è recentissima, nella storia del nostro universo lunga 15-18 miliardi di anni) c’erano resistenze allo sviluppo della creazione, dipendenti dal caos e dai limiti delle strutture materiali: il nuovo non trova sempre spazio e spesso i tentativi delle forze fisiche falliscono nelle loro imprese. Anche la vita ha saggiato diverse strade, ha tentato modalità varie di espressione e non sempre ha avuto successo. Disastri immani hanno vanificato risultati ottenuti con lenti processi di milioni o di miliardi di anni. Numerose specie di viventi dopo breve apparizione o dopo lunga evoluzione sono scomparse: ad esempio i dinosauri e molte forme viventi risultati dalla lenta evoluzione dai rettili sono scomparsi improvvisamente.
Il nuovo, a livello fisico, biologico, psichico e spirituale, deve crearsi un ambiente per svilupparsi e non sempre riesce nei suoi tentativi. Altre volte sopravvengono fenomeni improvvisi, come la caduta di un meteorite o l’eruzione di vulcani, che distruggono l’opera paziente compiuta dai viventi. La novità è sempre precaria, si trova in situazioni non stabili, facilmente può essere distrutta. Sappiamo, o meglio intuiamo, che la forza creatrice sta conducendo la realtà ad un compimento, che però non possiamo conoscere con esattezza.
Questo vale anche per il Vangelo di Cristo: è una novità introdotta da appena duemila anni e trova molte resistenze a farsi strada come legge di vita per gli uomini. Non dobbiamo lasciarci prendere dallo sconforto: “da tanto tempo il vangelo è stato predicato e ci sono ancora tante difficoltà nel viverlo!”. Dobbiamo capire bene la condizione delle creature: la forza creatrice riesce a esprimersi solo a piccoli frammenti, perché la ricchezza che offre è talmente grande, da non poter essere accolta subito completamente. Il periodo tra l’inizio e il compimento è accompagnato dall’imperfezione e dal male.
Comprendiamo allora perché nell’inno all’azione creatrice di Dio viene subito messo in risalto un aspetto negativo: “La vita era la luce degli uomini. La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta (il testo greco può essere tradotto anche le tenebre non l’hanno sopraffatta. Nell’uno e nell’altro caso è messa in luce l’opposizione luce/tenebre). Il mondo era stato fatto per mezzo di Lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto”.
Vi sono molte forme di resistenza del male. Anche nei bambini il male ha diverse possibilità di manifestarsi. Non dobbiamo pensare che il bambino sia perfetto: il piccolo è limitato, inadeguato alla vita. Non sempre i figli accolgono l’offerta di vita che viene loro fatta; o quando l’accolgono non sempre hanno manifestazioni ordinate. Lo stesso vale per la società: quanti progetti buoni sono stati avviati e lungo il corso si sono corrotti? Non dipende sempre e solo dal peccato. Spesso sono la fragilità, il limite, l’inconsistenza dei nostri propositi a determinare il fallimento del bene. Siamo imperfetti, limitati, non abbiamo ancora raggiunto la pienezza di vita a cui siamo chiamati.
Questo ci deve rendere molto misericordiosi nei confronti di chi compie il male. Misericordiosi non vuol dire passivi o rassegnati: misericordiosi vuol dire pronti ad offrire continuamente vita, a rinnovare la nostra offerta, a testimoniare la potenza dell’azione di Dio. Questo è il motivo della speranza, anche di fronte ai molti mali della nostra società.
Ieri ho ricevuto un messaggio di auguri con un pensiero di Taulero, un mistico domenicano del secolo XIV°, un discepolo di Eckart: “Quando vivi un momento di angoscia, pensa che la vita sta preparando in te una creazione nuova”. C’è una verità profonda in questo pensiero. È un’esperienza che tutti facciamo: quando ci sono momenti di resistenza, di difficoltà, di crisi, vuol dire che la vita sta tentando una modalità nuova di esistenza, che non trova ancora spazio. L’angoscia è una possibilità non ancora realizzata che cerca di esprimersi, è un’offerta vitale che non trova ancora una culla, è una novità di vita che ci è già donata ma non ha ancora radici.
Vivere bene le situazioni di disagio, di male, di sofferenza è difficile, perché abbiamo la presunzione che il bene debba sempre subito trionfare, che i nostri desideri buoni debbano essere prontamente realizzati. Non è così: noi siamo nel tempo e l’inno cristologico che stiamo ascoltando esalta proprio la funzione creatrice del tempo.
L’accoglienza del dono.
Un altro aspetto importante è la positività di coloro che accolgono il dono: molti resistono alla vita, ma molti l’accolgono. Quando c’è l’accoglienza fiorisce la gioia, che è la consapevolezza della nuova presenza di Dio. Nell’inno cristologico c’è una strofa, relativa ancora al periodo della storia salvifica precedente Gesù, che ha un fascino straordinario: “A quanti però l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome”. Credere nel Nome vuol dire affidarsi a Dio, alla sua azione. E continua: “I quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomini, ma da Dio sono stati generati”.
Tutti noi siamo nati da carne, da volere di uomo e di donna, ma c’è qualcosa in noi che sta nascendo da Dio. In altri tempi si riferiva la nascita da Dio all’anima e all’ordine soprannaturale, ma questo modo di parlare non esprime il senso dell’espressione biblica, che si riferisce a tutta la realtà umana. Oggi è meglio dire: tutto ciò che noi siamo è una culla per il figlio di Dio che nasce in noi; tutta la nostra realtà (fisica, biologica, psichica), investita dall’azione di Dio, consente la nascita e la crescita di una dimensione nuova, eterna, definitiva, per cui diventiamo figli di Dio. “E lo siamo realmente” sottolinea Giovanni nella sua prima lettera (1Gv. 3,1). Mentre Paolo ricorre alla metafora dell’adozione, Giovanni presenta la crescita del figlio di Dio in noi come un processo reale, già in atto, anche se, continua: “ciò che saremo non è stato ancora rivelato” (ib. 3,2).
Questa è la ragione di tutta la nostra esistenza. Tutto il resto – il lavoro, le realizzazioni, il successo, l’organizzazione sociale, la chiesa stessa – possono essere grandi cose, ma funzionali alla crescita dei figli di Dio. Sono realtà grandi solo per la piccola storia degli uomini, che finisce col dissolversi della terra. Il nostro pianeta un giorno diventerà polvere, come era polvere quando la realtà che ci compone, formata dalle stelle, è stata lanciata nello spazio. Tornerà ad essere polvere: polvere di stelle, polvere sacra, per avviare forme nuove nella creazione che continua. Tutte le realizzazioni sulla terra sono precarie, provvisorie, forme momentanee che la realtà assume nello svolgersi del suo processo. Ma c’è qualcosa di divino che resterà per sempre: “A quanti però l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli. I quali non da sangue, né da volere di carne, ma da Dio sono stati generati”. Noi siamo figli, se accogliamo la Parola e crediamo nel suo Nome. Oggi, celebrando il Natale, coniughiamo insieme la consapevolezza del male che resiste alla forza creatrice e la positività della vita che fiorisce dall’accoglienza del dono. Oggi sappiamo di dover essere nel mondo testimoni di questa avventura meravigliosa che è diventare figli di Dio.
Dal vangelo secondo Giovanni 1,1-18
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.