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Castillo è stato un grande teologo, un profeta, un maieuta della primavera ed un tesoro di persona

di José Manuel Vidal in “Religión Digital ” del 12 novembre 2023

All’improvviso e in silenzio, senza fare chiasso. Così se ne è andato il teologo José María
Castillo. Se ne andato tra le braccia del Padre così come è vissuto, con un’umiltà assoluta che non è
comune nei grandi pensatori. Se ne è andato, ma lascia un ricordo indelebile nei suoi tanti amici e in
moltissime persone che si sono nutrite delle sue conferenze, dei suoi numerosi libri e perfino delle
sue innumerevoli dispense di Teologia popolare. Se ne è andato dopo aver svolto un inestimabile
servizio di tanti anni per tutto il “santo popolo di Dio” alla riflessione teologica, con profondità e
capacità divulgativa.
Come giornalista e direttore di “Religión Digital” ho conosciuto decine di teologi spagnoli e
stranieri. Ma con pochi ho avuto un legame così profondo come con Castillo. Sia a livello personale
sia professionale. Perché Pepe era una persona speciale, che attirava l’attenzione per la sua
saggezza, la sua empatia e la sua umiltà, ma soprattutto perché si faceva amare.
Un uomo che alle umili origini di Puebla de Don Fadrique ha unito una brillante carriera
ecclesiastica e, soprattutto, teologica, plasmata dal suo essere e comportarsi da gesuita.
Un cammino lungo e faticoso, che gli ha permesso di essere memoria viva della Chiesa spagnola
del post-concilio, una tappa che ha vissuto in profondità, proprio a Roma, come perito del cardinale Tarancón. Lì si è incontrato con i grandi teologi mitteleuropei dell’epoca e ha aiutato la gerarchia spagnola più aperta a smantellare la sua teologia preconciliare e ad adattare la sua pastorale ai nuovi venti conciliari.
Quella stessa gerarchia che, negli anni 80, quando i venti di Roma cambiarono e il Concilio fu
congelato a causa dell’involuzione, a Castillo (ed a molti altri, come Juan Antonio Estrada o
Benjamín Forcano) ritirò la “venia docendi” e lo destituì come professore della Facoltà di Teologia
di Granada. Senza processo, senza possibilità di difesa, senza che nessuno gli abbia mai detto quale sia stato il motivo esatto della sua destituzione.
Oggetto di rappresaglia ed emarginato ufficialmente, Castillo non ha gettato la spugna e
teologicamente è restato sulla breccia. Non gli hanno potuto vietare la ricerca e l’insegnamento che fli fu tolto in Spagna, gli è stato dato presso l’Università Centroamericana di San Salvador, insieme al suo amico e collega Ignacio Ellacuría e a contatto con i poveri dell’America Latina. La
Compagnia di Gesù, allora nel mirino della Curia romana, manovrò con la sua classica astuzia e
aggirò il divieto di insegnare per Castillo in Spagna, trasferendolo in America Centrale.
Alla fine, dopo anni, la rettitudine morale di Castillo non gli ha permesso di continuare a avere il
piede in due staffe. Era consapevole che la sua Compagnia non poteva andare oltre nel braccio di
ferro con Roma e sapeva perfettamente che i suoi libri, i suoi discorsi, le sue conferenze e le sue
interviste avrebbero potuto essere utilizzati dai nemici per attaccare i Gesuiti (che, con Arrupe alla
testa, stavano vivendo il loro particolare calvario romano). Infatti, nel 1980, Castillo è allontanato
dall’insegnamento e nel 1981 il Superiore generale, Pedro Arrupe, viene colpito da una trombosi e
pochi giorni dopo Giovanni Paolo II si intromette nella vita della Compagnia e nomina suo delegato
personale padre Paolo Dezza.
Erano tempi di inverno ecclesiastico e Castillo decise di lasciare fisicamente la Compagnia, senza
mai smettere di appartenervi affettivamente e realmente. Un altro gesuita senza documenti, sulla
scia di José María Díez Alegría.
Il teologo rimase senza l’appoggio della sua congregazione ma, alla fine, volò completamente
libero, accompagnato dai suoi innumerevoli seguaci; inoltre ebbe la fortuna di trovare Marga, la
donna che, da allora in poi, ha condiviso la sua vita, gli ha insegnato ad amare concretamente, si è preso cura di lui e lo ha coccolato, affinché potesse continuare a volare.
Che sia stato un grande teologo, nessuno lo mette in dubbio. La sua è un’opera e un’opera
consolidata. Forse è stato uno dei migliori specialisti al mondo in sacramenti. Ma, secondo me, la sua più grande virtù è stata quella di non restare, come molti dei suoi compagni, un semplice teologo accademico.
José María Castillo è stato, dall’inizio e fino alla fine, il teologo del popolo, il riferimento delle
nascenti Comunità Cristiane Popolari, che si sono nutrite dei suoi libri, discorsi e conferenze. Chi
non ha utilizzato, dagli anni ‘60 in poi, i suoi famosi “Quaderni di Teologia Popolare”? Quei libretti,
fotocopiati o ciclostilati, nei quali in tre o quattro pagine riassumeva i concetti teologici più
complicati. Con alcune domande finali, che non lasciavano nessuno indifferente e facevano entrare
nella vita la dottrina teologica, e con piccoli disegni che chiaramente si potevano migliorare, ma che
interpellavano anche.
Non ho mai saputo chi realizzasse i disegni di quei quaderni, che servivano sia ai preti che ai laici e
che erano ugualmente utili per l’insegnamento all’Università come per una catechesi parrocchiale.
Perché quella è sempre stata la grande virtù di Castillo: saper divulgare. Saper mettere i grandi
concetti teologici alla portata delle persone semplici. Un dono e una virtù che sono solo per i più saggi e i più grandi. Per questi uccelli liberi, quelli che sanno tanto e volano così liberi e così in alto da essere capaci di donare il cibo teologico masticato per i loro pulcini piccoli o già cresciuti.
Ed è rimasto in quel solco fino alla fine, senza deviare minimamente dalla sua traiettoria, scrivendo almeno un articolo settimanale sul suo blog nel sito Religión Digital. Breve, diretto, chiaro e
conciso. A partire dalla vita e per la vita. E, proprio per questo, sempre connesso all’attualità.
È stato un lusso averlo con noi e nutrirci settimanalmente della sua saggezza radicata nella vita quotidiana, nei segni dei tempi, nelle riforme di Francesco e nella cultura attuale.
Un teologo, un profeta, un maieuta della primavera ed un articolista consumato, che scriveva in
modo semplice e divulgativo (uno dei pochi teologi capaci di fare qualcosa del genere) e che,
inoltre, aveva una vis giornalistica, per cercare gli agganci di attualità e attenersi a loro.
E un tesoro di persona. Messo per molti anni ai margini, poteva vantarsi (anche se non lo ha fatto)
di aver ricevuto chiamate e lettere dallo stesso papa. “Ti ho perso negli anni ottanta e ora ti ritrovo”, gli ha detto una volta.
Ho avuto anche l’opportunità di essere al suo fianco quando il papa ci ha ricevuto a Santa Marta ed essere testimone diretto della piena riabilitazione della sua persona e della sua opera. “Ho letto i suoi libri con grande piacere, fanno molto bene alle persone”. Con questa frase Francesco “ha benedetto” il teologo spagnolo in Vaticano, dove vent’anni fa gli era stata ritirata la “venia docendi”.
Castillo, commosso fino alle lacrime, ha ringraziato il papa per il gesto, regalando a Francesco due
delle sue ultime opere: “L’umanizzazione di Dio” (Edizioni Dehoniane) e “L’umanità di Gesù” (la
meridiana).
Il papa apprezzava molto José María Castillo e, infatti, in questi anni di pontificato gli ha inviato
prima una lettera e poi gli ha fatto diverse telefonate. Quel 18 aprile 2017 si sono incontrati faccia a faccia, si sono salutati calorosamente e il teologo gli ha detto: “Santità, siamo due gesuiti senza documenti”.
Il papa ha sorriso e ha ringraziato della battuta. E, guardandolo negli occhi, ha ricevuto i suoi libri e
“ha benedetto” la sua teologia: “Leggo con grande piacere i suoi libri, che fanno molto bene alla
gente”, ha detto Francesco a Castillo.
Più tardi José María spiegava: “Si esce dalla Compagnia dall’alto, come nel caso del papa, o dal
basso, come nel mio, ma in entrambi i casi siamo e saremo sempre gesuiti…adesso senza
documenti”.
Uscendo da Santa Marta, sulla spianata che si affaccia sul retro della Basilica di San Pietro,
Castillo, ancora emozionato, ha detto: “Dobbiamo goderci questo papa, che è una benedizione di
Dio per la sua Chiesa e sostenerlo con tutto il nostro essere. Perché, così facendo, stiamo
sostenendo la Chiesa del Vaticano II e, soprattutto, il Regno di Dio”.
Continueremo a farlo in questo modo, maestro. Remando insieme a Francesco, con la sua primavera e, soprattutto, con il Vangelo dei poveri a cui hai dedicato tutta la tua vita. E che sicuramente continuerai a fare in paradiso nelle tue lezioni di teologia popolare. Che Dio ti accolga nel suo seno, amico!