di Cesare Giuzzi in “Corriere della Sera” del 20 aprile 2020
Le 18.30 di venerdì. L’ultimo «paziente corona» lascia lo stanzone della terapia intensiva. Alle 18.35 sul cellulare del caposala Carlo Anelli, 54 anni, arriva un messaggio. «Ero uscito da un’ora.
Ho visto quel video mandato in chat. Ho pianto da solo. Questi sono i miei ragazzi, io per loro sono un po’ come uno zio. Hanno fatto un lavoro straordinario. Questi matti hanno stappato senza dirmelo una bottiglia di spumante che avevo messo via… Ma come si fa a non urlare di gioia quando dopo 57 giorni, per la prima volta, vedi un po’ di luce in fondo al tunnel?».
Il raggio che illumina le speranze della Lombardia non è soltanto nei numeri che da giorni mostrano il trend dei contagi, delle morti e dei ricoveri in terapia intensiva (922 ieri, -25) in frenata. Ma ha finalmente sembianze concrete, qualcosa che si possa raccontare anche con un’immagine. «Dopo tanto dolore questa battaglia la stiamo vincendo. Non è finita, la strada è ancora lunga ma adesso abbiamo una speranza concreta», racconta Roberto Fumagalli, primario di anestesia e terapie intensive del Niguarda. Nell’ospedale milanese, infatti, è stato chiuso uno dei cinque reparti di terapia intensiva dedicati al coronavirus. E il personale ha festeggiato con un video pubblicato sui social. «E un urlo liberatorio. Qualcuno ha anche pianto». Reparti nati nei giorni dell’emergenza,
quando i posti letto sono passati da 33 a più di cento. «Abbiamo triplicato i posti, convertito sale operatorie, formato personale sul campo. Senza l’aiuto di medici, infermieri, ausiliari, specializzandi e tecnici niente sarebbe stato possibile — spiega il direttore generale Marco Bosio — abbiamo mantenuto 25 posti per le emergenze. Il resto dedicato al Covid». In questi due mesi al Niguarda di Milano sono stati accolti 900 pazienti positivi, 160 in terapia intensiva. Dopo la chiusura del più grande dei reparti «straordinari» (27 posti) che fino a due mesi fa era dedicato alla rianimazione post trapianto e cardiaca, i «pazienti corona» ancora in Rianimazione sono 45: «Ma
siamo arrivati ad averne 76 insieme». Uno sforzo enorme anche per un polo ospedaliero considerato da sempre un’eccellenza per le emergenze. La prima ondata dagli ospedali di Cremona e Lodi. Poi lo tsunami di Bergamo e Brescia. Infine da metà marzo il fronte milanese: «I malati arrivavano dal Pronto soccorso con patologie respiratorie molto gravi — ricorda Fumagalli —. Mai viste così tante e tutte insieme. Per settimane abbiamo avuto una sola preoccupazione: creare nuovi posti letto, ne abbiamo fatti anche 8 al giorno».
Nel frattempo l’attività del Niguarda non s’è fermata: 250 interventi oncologici, 21 trapianti e 300 nascite. «La squadra è composta da un’ottantina di infermieri — racconta il caposala Anelli — quasi tutti giovani, alcuni non avevano mai lavorato qui. A fine turno si parlava, si piangeva. La morte ti vive accanto, le vittime non hanno neanche il conforto dei parenti. Non siamo eroi, siamo gli stessi di tre mesi fa quando nessuno si ricordava di noi. Anche se oggi abbiamo più ferite addosso».