Dio mio perché mi hai abbandonato? (Racconto della Passione di Matteo 26,14-27,66).
A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. 46Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato». 47Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». 48E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. 49Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». 50Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.
E’ una strana settimana santa quella che stiamo iniziando: nessun rito di benedizione delle palme con conseguente visita ai propri cari per portarne un rametto. Nessuna messa con la lavanda dei piedi con conseguente visita ai “sepolcri” e soprattutto nessuna celebrazione della Passione seguita dalla processione del Cristo morto e dell’Addolorata che si fa in molte nostre realtà. Molti vorrebbero che qualche forma di manifestazione esterna possa far sentire la presenza di questi riti nelle nostre strade, tra le nostre case. Io penso che quest’anno, per una strana congiuntura, tutto il pianeta si sta trovando in una condizione simile a quella pasqua di duemila anni fa, quando il cristianesimo non ha celebrato un ricordo perché in quel momento si stava vivendo il mistero pasquale: Gesù non ha celebrato ma ha vissuto l’eucaristia come dono di sé, l’esperienza drammatica della morte vissuta da solo, nella disperazione e nella solitudine condivisa con chi in quel momento moriva come lui. Le donne che guardavano da lontano l’evento della croce hanno vissuto la stessa esperienza di tanti famigliari e amici che non possono stare vicino a chi in questo momento sta morendo per il virus che sta attanagliando il mondo e che rende partecipe collettivamente un’umanità troppo spesso distratta dai drammi che continuamente si consumano in tante parti del mondo e di cui non ci siamo resi conto perché distratti dal nostro pensare solo a noi stessi. Quest’anno, proprio come cristiani siamo chiamati a non vivere dei riti che spesso si riducono a manifestazioni collettive di emozioni superficiali, ma ci viene chiesto di stare nel dramma, sia quello personale, anche solo per la paura di essere contagiati noi o uno dei nostri cari sia dell’umanità che è costretta a fermarsi, inchiodata alla croce di una tragedia universale. Tornerà il tempo delle celebrazioni e dei riti ma guai se in questo momento pensassimo solo a come sostituire un rito con un altro rito mentre tanti stanno lottando soli e spesso disperati nei letti della loro agonia. Forse è solo la preghiera intima silenziosa e inerme che dovrebbe caratterizzare la celebrazione di questa strana settimana santa.
Don Michele Tartaglia