di Nicola Colaianni su La Repubblica – Bari del 10.03.2024
La cacciata dei mercanti dal tempio allerta i capi dei giudei.
Uno di questi, di nome Nicodemo, va ad incontrare Gesú di notte, quando la folla s’era dispersa. L’evangelista ne riporta il dialogo, che, a differenza di altre, stavolta non registra una conversione. Sta di fatto, però, che in seguito Nicodemo lo si ritrova ancora insieme ai suoi compagni farisei, anche se mal gllene incoglie per la sua posizione garantista a difesa di Gesù (“Forse che la nostra legge condanna l’uomo senza aver prima ascoltato e appreso da lui stesso quel che fa?”. Ed è con un altro collega del sinedrio, Giuseppe di Arimatea, che otterrà da Pilato di poter schiodare dalla croce e seppellire degnamente il corpo di Gesű giustiziato. Il monologo finale di Gesů (Giovanni 3, 14-21) è una potente sintesi della dottrina cristiana della salvezza dell’uomo. Dio è amore, il bene inesauribile che si rivolge a tutto “il mondo”, non solo ad Israele. Tant’è che Gesù, “il” figlio diletto, l’unico, è nondimeno destinato – altro che messia condottiero – ad essere “innalzato”, cioè ad essere elevato sulla croce. Egli è venuto per essere segno e strumento di salvezza. Non per giudicare o condannare. Il giudicare è attività degli nomini, come aveva detto con spirito laico quando gli avevano chiesto di risolvere una controversia. Il giudizio divino, piuttosto, è nei fatti, nell’atteggiamento di ognuno di fronte alla”Luce”, cioè al dispiegarsi dell’amore: nel fare o non fare verità. Gli esegeti spiegano che la verità ebraica non è qualcosa che si conosce, alla maniera greca, ma”qualcosa che si pratica” (Sergio Quinzio). Non è la veritá eterna da ricercare con la”filosofia o la religione, è la verità che si fa nella concretezza della vita, della storia. Lo traduce molto bene l’ebreo Marx: i “filosofi non hanno fatto che interpretare in diversi modi il mondo; si tratta ormai di trasformarlo”. Il Regno di Dio si raggiunge attraverso l’operare, il “fare verità, cioè come dice Gesù circa l’aiuto all’affamato, all’assetato, al carcerato, allo straniero e così via “ogni volta che l’avete fatto a uno solo di questi più piccoli, che sono miei fratelli, è a me che l’avete fatto (Matteo 25, 40). Fratelli: fare verità, fedeli alla legge dell’amore, trova il suo fondamento nella fratellanza. Fratellanza, insieme a libertà ed uguaglianza, proclamerà la rivoluzione francese. Poi negli ordinamenti civili si preferirà chiamarla solidarietà. E il massimo possibile dei doveri; andando oltre, stabilendo il dovere dell’amore, si cadrebbe nello stato etico. Con il conseguente controllo della virtù, che porta (pensiamo alla condizione delle donne in Iran) all’annientamento della dignità umana. Lo stato costituzionale di diritto si limita ad esigere “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà” (art. 2 della Costituzione): per esempio, tra gli altri, quello di perequazione a favore del “territori con minore capacità fiscale per abitante” (art. 1191. E il minimo etico, si può fare di più adottando la logica del dono, ma il dovere di solidarietà è già segno che la stella polare è “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.