di Andrea Riccardi in “Corriere della Sera” del 18 agosto 2022
La questione cattolica ha accompagnato per quasi un secolo e mezzo, come una costante, la storia d’Italia. Si sono misurati su di essa, di tempo in tempo, politici e intellettuali: dal contrastato Risorgimento all’ammorbidimento del Patto Gentiloni nel 1913, alla conciliazione con il fascismo, ai popolari di Sturzo e alla DC di De Gasperi. Cavour, Gramsci, Sturzo, Togliatti, Berlinguer, per citare a caso alcuni nomi, hanno affrontato la questione cattolica come componente decisiva del paesaggio politico e culturale d’Italia. In vari momenti, s’è visto il rilievo dei cattolici, della Chiesa e del papato: tre realtà connesse, non identificabili in tutto, che hanno fatto la differenza dell’Italia dalla Francia o dalla Spagna. Durante la prima Repubblica, la DC, sostenuta dalla Chiesa, è stata la forza centrale. La sua dissoluzione nel 1994 ha aperto una nuova stagione, determinando l’eclissi della questione cattolica.
La fine del partito cattolico e il superamento dell’unità politica dei cattolici sono stati gestiti dal card. Ruini, presidente della CEI dal 1991 al 2007, con una strategia che ha ricevuto il nome di «ruinismo» (neologismo entrato nel Vocabolario della Treccani). Da un lato, Ruini ha cercato di dare consistenza al «progetto culturale», un orizzonte comune che abbracciasse i cattolici, sullo sfondo dei cosiddetti valori non negoziabili; dall’altro, tra le forze politiche, ha avuto come interlocutore il centro-destra di Berlusconi. La stagione ruiniana è legata in larga parte anche alla forte (e diversa) leadership di Giovanni Paolo II.
Ma tanto è cambiato in Italia e nel mondo. I cattolici italiani non sembrano rappresentare un interlocutore nel paese (se si eccettua papa Francesco: lo si è visto in alcuni momenti difficili come la pandemia). Tempo fa girava un racconto negli ambienti vaticani: dopo un pranzo in onore dei nuovi cardinali italiani, Renzi, presidente del Consiglio, avrebbe detto ai suoi: «Vedete, sono loro che hanno bisogno di noi, non noi di loro». Una battuta forse non vera, ma che mostra come la Chiesa non faccia la differenza e il voto cattolico non abbia più peso.
Del resto Matteo Salvini avrebbe detto tempo fa a un prelato: «Abbiamo in percentuale più voti noi di quanta gente va a messa». Anche se il leader della Lega ha mostrato devozione e il suo slogan elettorale, «Credo», pretende di avere qualche valenza religiosa. Fratelli d’Italia, nel rifarsi alla tradizione, ha in conto un rapporto con la Chiesa. Ma tra la destra e la Chiesa c’è una grande distanza non facilmente colmabile. La questione cattolica è insomma periferica nella politica, quasi assente nel centrosinistra, molto attento ai diritti individuali.
Fa pensare il severo giudizio di un acuto osservatore delle vicende internazionali, Lucio Caracciolo, sull’ultimo numero di Limes: «la decadenza della Chiesa è l’altra faccia del declino italiano». La Chiesa ha sorretto, in parte, gli smottamenti del terreno sociale italiano: dalla guerra, alla ricostruzione, all’assassinio di Aldo Moro, al secessionismo nordista (con un forte intervento di Giovanni Paolo II per l’unità d’Italia nel 1994). Nei momenti tragici, vari vescovi hanno parlato come defensor civitatis. Oggi la Chiesa sembra vivere parecchio dentro il quadrato ecclesiastico, nonostante gli inviti di papa Bergoglio a uscire, mentre i vescovi (rimasti l’unica classe dirigente cattolica con l’impallidire dei laici cattolici) stentano a prendere la parola. Colpisce che, nelle messe domenicali, non si senta pregare per la pace mentre c’è la guerra in Ucraina. Spesso i discorsi ecclesiali non parlano alla vita comune.
Eppure la Chiesa è la più grande rete sociale nel Paese. Lo si è visto durante il Covid e nei momenti di faticosa coesione sociale. C’è in Italia una Chiesa del fare, del credere, del pregare, dell’intreccio di legami sociali, che è ancora una risorsa civile di valore. Tuttavia questa realtà ha bisogno di trovare parole e linguaggio per incrociare un discorso pubblico, dare voce a esperienze e sentimenti che vivono al suo interno. Non si tratta di tornare agli «anni dell’onnipotenza», come li definiva un protagonista del movimento cattolico, quanto di esprimere le dimensioni della propria realtà e responsabilità. Infatti vive ancora oggi, nel mondo dei cristiani italiani, un approccio concreto, serio, impegnativo, che ha molto da dire alla volatilità del linguaggio della politica, acuito in campagna elettorale e che ha stancato tanti italiani, come purtroppo mostra l’astensionismo.