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San Romero delle Americhe, la sua ultima omelia

di padre Marcelo Barros in “www.finesettimana.org” del 25 marzo 2021

Questa mattina ho aperto il direttorio liturgico della Chiesa cattolica in Brasile e ho scoperto che per la celebrazione di questo 24 marzo non c’è un minimo accenno al martirio di Oscar Romero. Niente.

Come se non fosse esistito. Si celebra la memoria dei santi filippini, della Nuova Guinea, del Vietnam e ovviamente della maggioranza dei papi e dei vescovi d’Europa. Non finisce di essere strano che Papa Francesco abbia canonizzato Oscar Romero come santo ufficiale della Chiesa, in una cerimonia pubblica in Vaticano, nell’ottobre 2018 e fino ad ora, il direttorio liturgico della Chiesa cattolica in Brasile non fa il minimo riferimento a questo. Probabilmente vuol dire che ancora oggi questo santo non fa ancora parte della devozione di chi fa questo annuario e dei responsabili della sua pubblicazione. Può significare che fino ad oggi il suo martirio non è stato compreso da chi non ha mai accettato o riconosciuto il suo ministero pastorale.

Fino ad oggi non hanno voluto sentire quello che Pedro Casaldáliga, con tanta proprietà chiamava: la sua ultima omelia. Essa venne proclamata non con la sua bocca, ma con il suo sangue, mescolato al pane e al vino dell’Eucaristia, che Romero celebrava quando ricevette il colpo fatale.

Infatti, quarantuno anni dopo questo martirio, sembra più scomodo e più inquietante ai funzionari curiali, agli ecclesiastici e ai gruppi di guerrieri cattolici dei cavalieri di Colombo e a tutti i crociati nei centri, nelle confraternite e in altre roccaforti del Cattolicesimo come religione civile, alleate agli imperi economici e politici del mondo.

Ancora oggi, la profezia di Romero continua poiché la parola di Dio è: “penetrante come una spada a doppio taglio. Penetra fino a dividere anima e spirito, articolazioni e midollo. Giudica i pensieri e le intenzioni del cuore” (Eb 4, 12).

Ci ricorda la conversione quasi mai facile di un vescovo che, diventando arcivescovo invece di “salire” e diventare più prudente nel preservare la sua autorità ecclesiastica, accetta di essere così coerente con la sua fede e in quella che credeva essere la sua missione che si è messo in contrasto con la curia romana, la nunziatura a San Salvador e molti dei suoi fratelli, vescovi salvadoregni.

Come spiegare che l’arcivescovo nominato da Roma per essere conservatore, in appena un anno e mezzo, ha meritato tre visite “apostoliche” a nome di Roma per indagare sul suo ministero? Come comprendere che non ha obbedito a quello che, nella sua visita a Roma, il Papa Giovanni Paolo II gli ha detto chiaramente: “Cerca di raggiungere un accordo con il governo”. Può fare del bene ai suoi poveri, può predicare giustizia e solidarietà, ma sempre in un buon rapporto con il potere.

Domenica 23 marzo, invece, nell’omelia della messa diffusa in tutto il Paese, Romero predica la disobbedienza alle autorità. Dice chiaramente ai soldati: “In nome di Dio, smettete di uccidere”.

Il giorno successivo ha celebrato il giorno prima la festa dell’Annunciazione del Signore e lui stesso è diventato l’angelo annunciatore dell’incarnazione di Gesù, oggi, in America Latina, assume il volto della solidarietà con il cammino del popolo organizzato e con ogni sforzo per la liberazione da Capitalismo, Patriarcato, Colonialismo e anche da una religione che legittima gli imperi economici e politici di oggi.

Non appena la morte dell’arcivescovo è stata annunciata e resa nota, sono stati scoperti adolescenti e ragazze di una rinomata scuola religiosa della capitale mentre organizzavano una festa per celebrare la gioia per l’assassinio dell’arcivescovo comunista. La maggior parte dei vescovi del paese ha pianto la morte, ma i commenti furono: “ Si era sovraesposto. Era un uomo buono, ma ingenuo e si è lasciato usare dalla sinistra ”. Alla vigilia della canonizzazione, a casa dei gesuiti a Milano, il vecchio padre Bartolomeo Sorge, vicino ai 90 anni, ha affermato: “Mio Dio, ai tempi della 3a Conferenza episcopale latinoamericana, ero il direttore della rivista Civiltà Cattolica e il Vaticano mi mandò Puebla a vegliare su due arcivescovi sospetti: Helder Camara e Oscar Romero.

Andai. Lì sono diventato loro amico. Adesso scopro che mi hanno mandato a spiare e vegliare sui due santi ”.

Oggi, più che nel 1980, 40 anni fa, in Brasile e in molti paesi, affrontiamo nuove forme di necropolitica. Come nel caso di Oscar Romero, le autorità ecclesiastiche e i gruppi cattolici rifiutano la Campagna della Fraternità ecumenica, parlano male di Papa Francesco, condannano il lockdown , chiedono chiese aperte con cerimonie piene di gente e si pongono come discepoli del falso messia che ci governa.

Le nostre voci non tacciono, perché non sono riuscite a zittire quella di Romero che continua a gridare: In nome di Dio, smettano di uccidere. Da 29 anni, ogni 24 marzo, si celebra il ricordo del martirio di Romero, la Giornata dei missionari e dei martiri missionari.

E’ usanza quella di celebrare una giornata di preghiera e anche di digiuno in memoria di missionari e martiri di tutto il mondo. Quest’anno, per questo 29 ° giorno della memoria dei martiri, il tema scelto è stato “Vite intrecciate”. Va molto nel senso della parola di Oscar Romero: “Se mi uccidono, risorgerò nel popolo salvadoregno”.

Celebrando la memoria del martirio di Romero e di tutti i fratelli e sorelle martiri della missione, abbiamo riacceso la profezia nel nostro modo di essere e di vivere. Viviamo questa Pasqua come la festa dell’Annunciazione, realizzata attraverso la nostra testimonianza profetica dell’incarnazione di Gesù nel nostro popolo martire di tante pandemie.

San Romero delle Americhe, prega per noi.