di Luciano Moia in “Avvenire” del 9 aprile 2021
Aveva un grande cruccio Antonio Thellung, che se n’è andato mercoledì mattina a 90 anni, pochi giorni dopo sua moglie Giulia. Entrambi per le conseguenze del Covid. Avevano vissuto insieme per 70 anni di cui una ventina nella “Comunità del mattino”. Un’idea rivoluzionaria, sulle ali del rinnovamento sollecitato dal Concilio. Nel ’77 con altre sei famiglie, avevano messo in piedi un progetto di vita comunitaria e per vent’anni erano riusciti a concretizzare tante iniziative interessanti di vicinanza e di solidarietà. Testimoniaza visibile di quale forza attrattiva e propositiva ci sia nel dna di una famiglia cristiana, consapevole del sacramento ricevuto. Poi la speranza di costruire un mondo nuovo era naufragata di fronte alle incomprensioni. Un inciampo di cui Antonio non si dava pace: «Non siamo stati in grado di innestare quel processo dinamico nel futuro. Forse siamo stati troppo legati a schemi di vita borghese. Hanno prevalso le esigenze nei confronti dei figli che non gradivano quella vita comunitaria. Ci siamo arresi. E mi dispiace».
Anche quell’esperienza, come tutte quelle realizzate nella sua lunghissima vita, era un gesto d’amore. «Non c’è nulla di più importante dell’amore. Amare, essere amati, vivere nella gioia. La gioia più grande è l’amore. La gioia è il segreto di tutto. Io e mia moglie ci amiamo da quasi 70 anni nella gioia. Il nostro presente continua a diventare sempre più bello». Adesso Antonio e Giulia continuano il loro presente nell’eternità. Un presente diventato “per sempre” nell’abbraccio di Dio. Chi li conosce non si meraviglia che alla fine di una lunga e intensa vita insieme, insieme siano stati abbracciati dall’amore del Padre. Un amore di cui Antonio e Giulia erano certissimi, pur nelle traversie di un’esistenza che non ha risparmiato loro nulla, neppure la morte di un figlio a 50 anni per una rara malattia genetica. Da una decina d’anni Thellung – un vulcano di progetti e di idee nonostante l’età – aveva scelto di mettere da parte quasi tutto per diventare, come diceva, il “badamante” della moglie, più segnata di lui dal trascorrere degli anni.
Tre figli, otto nipoti, quattro bisnipoti. Tante “vite” intensissime che si sono incastrate di volta in volta una dentro l’altra. Due volte campione italiano di rally, pilota d’aereo, fondatore di comunità familiari, assistente di malati terminali, scultore, pittore, poeta. Ha scritto anche 25 libri, tra cui alcuni saggi di teologia esperienziale che non hanno mancato di far discutere. Come La morale coniugale scompaginata (1999), La conversione dei buoni (2004), a quattro mani con padre Alberto Maggi, L’elogio del dissenso (2007), I due cristianesimi (2012). Alcuni testi conservano una forza profetica sorprendente. Thellung era un figlio genuino del rinnovamento aperto dal Vaticano II, che non si è mai accontentato di norme separate dalla realtà. Si rammaricava per esempio che la Chiesa, la teologia non avessero ancora indagato come necessario, l’amore degli anziani, il sentimento che cresce nei decenni e, lungi dall’affievolirsi, diventa sempre più pieno ed autentico. «Abbiamo paura di parlare dell’eros dei vecchi sposi. Ma è un errore. Raccontiamoci senza pudori, senza falsi ritegni. Anche la sessualità degli ultraottantenni è un dono di Dio», aveva detto nell’ultima estate prima della pandemia, presentando alla comunità di Villapizzone a Milano, il suo libro Amarsi da vecchi (Gribaudi). «È proprio così. Che bella vecchiaia stiamo vivendo con mia moglie Giulia. La più grande fortuna sta senza dubbio nell’avere qualcuno da amare. Noi abbiamo la sensazione di fare esperienza d’amore divino, perché se non fosse così non sapremmo proprio da cosa potrebbe derivare questa nostra incredibile beatitudine». E proprio in questo modo ci piace immaginare ora Antonio e Giulia, mano nella mano, per sempre, avvolti da quell’amore che hanno sempre cercato.