Intervista a Walter Kohan a cura di Dorella Cianci in “Alias” – il manifesto – del 6 novembre 2021
«Viviamo in tempi di orrore in varie aree del mondo, di disprezzo per la vita, specialmente per le vite escluse, violentate, discriminate a causa della loro razza (che peraltro è un concetto inesistente scientificamente), del genere, della classe sociale, della cultura». A dirlo è uno dei filosofi più importanti in area latino-americana e non solo, Walter Kohan, allievo di Matthew Limpan (ideatore della Philosophy for Children), intellettuale dal solido profilo internazionale, da Parigi a Rio de Janeiro, già ricercatore del Consiglio nazionale di ricerca in Brasile, oltre che, precedentemente, presidente dell’Associazione internazionale di filosofia con i bambini (Icpic).
Kohan è anche il biografo di Paulo Freire (su di lui – di cui ricorre il centenario – sono consultabili i
podcast del manifesto, a cura di Paolo Vittoria, oltre ai numerosi articoli scritti dall’autore). Dopo
aver pubblicato un importante libro sulla sua vita e sul suo pensiero, con materiale inedito, al momento non tradotto in Italia, si è messo in viaggio sulle tracce di Paulo Freire e verso quei luoghi dove nacque la «pedagogia degli oppressi».
Tu hai raccontato più volte quest’icona del secolo scorso, un punto di riferimento della pedagogia mondiale, che nel 1961 fondò, a Recife, il «Movimento di cultura popolare», coordinando il Piano per l’educazione degli adulti nel Nord Est del Brasile, nelle zone rurali più povere. Che cosa vien fuori da questo meraviglioso viaggio verso Freire, a Pau dos Ferros, nel Rio Grande do Norte?
Il presente Paulo Freire, il Freire di oggi, è più importante che mai, in Brasile in particolare, per tutto quello che sta vivendo politicamente, e altrove, per alcune ragioni che cercherò di dire in breve. La prima è per aver sottolineato, come pochi altri, che l’educazione è politica e che il lavoro degli educatori è un lavoro politico. Questo è più importante oggi più che mai, di fronte agli attacchi all’istruzione pubblica da parte di governi conservatori come quello brasiliano (ma non soltanto). Mostra infatti che l’educazione, pur essendo politica, non significa che sia collegata a un partito politico o al sistema di governo istituzionalizzato, dove peraltro risiede il ministero preposto.
Nel caso brasiliano, peraltro, la distanza fra la cultura e il governo, ora, è siderale. Freire significa, però, qualcosa di più importante per tutti, di più radicale: ci dice ancora oggi che educare significa costruire polis, generare comunità, esercitare potere in modo solidale, egualitario, amichevole, cooperativo, attento, sensibile, democratico nel mondo e nel modo che piaceva a lui, divenendo un servizio per le comunità e per la gente, al contrario del mondo autoritario, gerarchico, competitivo, disattento, insensibile, cioè come veniva, e in parte, viene ancora concepita la scuola, che, peraltro, con la pandemia, da noi, è stata totalmente depotenziata.
La pandemia, come ho detto in più occasioni, qui in Brasile, ha fatto bene alla deriva nazionalista e, in alcuni casi, populista. Torniamo allora sulle orme di Paulo Freire, il quale ha chiamato l’educazione in due maniere: la prima educazione come «problematizzazione», la seconda come «attività pratica». Oggi più che mai esiste una necessità di affermare un’educazione problematizzante, più che semplificante. La seconda peculiarità è quella di non dissociare la vita dal pensiero dalla vita delle azioni, le idee dalla pratica.
L’educazione difesa da Freire afferma una vita filosofica che non smette mai di interrogarsi, proponendo una filosofia della domanda e fuori dalle mura.
Viviamo in questo mondo e non in un altro! Pertanto, una formazione filosofica (che Freire ha chiamato «problematizzante», «emancipante», «liberatoria» o «trasformante») tocca tutti politicamente, incide sulla vita individuale e collettiva, nutre le forze del vivere, iniziando dall’esercizio di interrogarsi, con altri, sul senso della vita individuale e collettiva. L’intuizione di Paulo in un Brasile di allora, ma per molti aspetti anche in quello di oggi, pieno di fragilità e difficoltà, fu un’intuizione di straordinaria portata sociale, oltre che pedagogica.Il secondo principio da lui fortemente sostenuto è l’uguaglianza, che afferma come tutte le vite siano ugualmente educative; tutte le vite hanno uguale potere di apprendere e vivere. In una società tremendamente diseguale, come quella brasiliana, la nostra ma non solo, l’uguaglianza educativa è un principio per guardare in faccia a discorsi che iniziano così: «non sono capaci», «non sono nati per quello», «non sono preparati». Al contrario, chiunque può imparare qualsiasi cosa se ha le condizioni per farlo, e questa è una dimensione imprescindibile del compito politico dell’educazione: offrire le condizioni affinché tutti possano apprendere ciò di cui sono ugualmente capaci nell’apprendimento.In fondo, anche l’amore è anche una forma di politicizzazione. Paulo Friere affermava che l’amore è una forza generativa, vitale per espandere, arricchire, rendere la vita più bella e giusta. L’amore educativo è un amore per le persone che partecipano nell’atto educativo, ma anche per il mondo, per la vita, per il posto che occupiamo quando educhiamo. Per cui l’educazione pubblica e popolare, tanto disprezzata ora in Brasile, è invece un atto d’amore, che vive nella e della differenza, cercando di dare la fiducia e la speranza attraverso una la domanda. La politicizzazione dell’educazione si manifesta anche nel suo errare, cioè nel doppio senso del termine (sbagliare e vagare).Per cui anche questo viaggio sulle orme di Freire è un atto educativo…Alcuni ritengono che l’espressione molto popolare «la filosofia è un viaggio» sia una mancanza di rispetto per la filosofia. Al contrario, lo considero un complimento alla filosofia, soprattutto se si pensa a un modo speciale di viaggiare: il vagare. Errare, come dicevo poc’anzi, è muoversi senza anticipare il senso del viaggio, perché il viaggio stesso inventerà i sensi. Nel Dipartimento di filosofia e studi sull’infanzia (Nefi) dell’Università Statale di Rio de Janeiro (Uerj), stiamo viaggiando, tra filosofie e infanzie, affermando una pedagogia della domanda fanciulla, dentro e fuori l’università. Nel contesto attuale, in base a quello che abbiamo visto nel nostro Paese, anche in base alla gestione scellerata, e fuori ogni controllo, della pandemia, noi, in tal modo, ripudiamo la politica della morte, ripudiamo la gestione antidemocratica, che diviene sempre più il modo ufficiale di fare politica nell’attuale Brasile. Io, con altri ricercatori del dipartimento, pensiamo, al contrario, che l’educazione sia un modo di vivere un’altra politica, alla maniera di Freire: curioso, irrequieto, speranzoso in un mondo più bello, amorevole e giusto.Pratichiamo dunque questa filosofia fuori e dentro l’Accademia. Quindi, in un momento in cui le nostre attività accademiche a sono ancora online (e non come da voi), proprio per mancanza di una politica seria sulla vaccinazione e sulla cura della popolazione, io mi metto in viaggio, con Freire nel cuore, con la nostra pedagogia e filosofia, alla ricerca di incontri che ci aiutino a problematizzare il mondo in cui abitiamo, a tentare di afferrare un senso che cambia continuamente. Educare ed educare te stesso, in primo luogo, richiede di lasciare il posto al pensiero e alla vita di altri. È un viaggio di formazione e anche di autoformazione, insegnamento e apprendimento. Un viaggio fanciullesco e errantemente (creo questa doppia parola) inventivo, creatore di percorsi, ma anche un viaggio di ospitalità, di odori e di abbracci. Sono partito in macchina da Rio de Janeiro, passando per Espírito Santo, per entrare a Bahia, Sergipe, Alagoas, Pernambuco, Paraíba, Rio Grande do Norte, Ceará, Piauí, Maranhão… Questo è un viaggiare con domande in attesa di incontri, facendo esercizi di filosofia e infanzia, in transito….Con i piedi per strada, con le mani occupate e forse sporche. Ora Paulo Freire compie 100 anni. Cento anni, capite bene? Un ragazzino che compie cento anni! Il modo in cui le sue parole continuano a insegnarci (o come dobbiamo ancora continuare a imparare da esse) ci fa capire che non ha età.Tutto ciò a cui rimanda Freire oggi, lo fa senza un tempo cronologico. Nel suo modo infantile di far nascere – ancora e ancora – l’educazione come pratica di libertà, anche in tempi aridi e privi di gioia e compassione come quelli in cui viviamo. Freire, al contrario della politica necrologica perseguita da Bolsonaro, è ancora nel suo stato nascente, anche se ha cent’anni: chi è come lui porta la vita dentro. Continua a farci nascere, con ottimismo, soprattutto per coloro che sanno vivere senza avere anni.