Per tutti c’è un tempo della vita in cui non sappiamo ancora camminare e per alcuni un tempo in cui non sono più in grado di farlo. Alzarsi, stare in piedi, muovere un piede davanti all’altro e procedere eretti: azioni talmente quotidiane e ordinarie da apparire scontate. In effetti non soltanto costituiscono un apprendimento che richiede attenzione e abilità, ma che si può anche perdere. Lo scrittore e camminatore svedese Erling Kagge, dopo avere camminato davvero tanto, ha raccolto in un libro riflessioni, esperienze, racconti attorno a questa azione che definisce una delle più importanti che compiamo. Dal suo libro Camminare (EinaUdi, 2018), proponiamo alcuni passi dei quali indichiamo le pagine di riferimento a fine di ogni paragrafo. i è impossibile tenere il conto delle camminate che ho fatto. Ne ho fatte di corte e di lunghe. Ho camminato per lasciare una città o per entrarvi. Ho camminato di notte e di giorno, lasciando fidanzate o andando incontro ad amici. Ho camminato per boschi e montagne, su superfici ghiacciate e in paesaggi trasformati dall’uomo. Ho camminato annoiandomi e ho camminato per sfuggire l’inquietudine. Ho camminato nel dolore e nella gioia. Ma a prescin- dere dai dove e dai perché, ho camminato tanto. Ho camminato fino alla fine del mondo, letteralmente. Ogni camminata è stata diversa dalle altre, ma guardandomi indietro posso individuare un tratto comune: il silenzio interiore. Il camminare e il silenzio sono collegati. Il silenzio è astratto, il camminare concreto. Finché non ho avuto una famiglia, una casa, un lavoro, non mi sono mai chiesto perché fosse così importante camminare. Invece i bambini volevano una risposta: perché bisogna camminare se si fa prima in macchina? Molti adulti con cui mi sono trovato a parlare si chiede- vano la stessa cosa: qual è il senso di muoversi lentamente da un posto a un altro?