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Crescere in umanità

Il senso profondo e bello dell’amicizia

la convinzione di don Mario nasce dal vangelo: «non vi ho chiamati servi ma amici»

di Carlo Molari

Nel brano del Vangelo della notte di Natale (Lc 2,1-4) si intrecciano due trame, due storie diverse: da un lato la grande storia, quella registrata dagli annali di quel tempo, con l’ordine di Cesare Augusto e il censimento dell’impero romano, dall’altro il cammino silenzioso di due giovani sposi che da Nazareth vanno in Giudea, a Betlemme, evento che nessuna cronaca del tempo ha registrato, perché erano due persone sconosciute, insignificanti, per la società del tempo. Due trame, quindi, molto diverse per la risonanza, per l’importanza che la prima aveva e l’insignificanza e il silenzio che circondavano invece il cammino dei due sposi. Eppure noi, da duemila anni, ricordiamo questo secondo evento che nessuna cronaca ha registrato, tanto che non sappiamo neppure quando esattamente sia accaduto, né l’anno né il giorno, e anche sul luogo si discute.

Questo fatto ci dà un criterio molto chiaro su come dobbiamo valutare la nostra esistenza, perché anche noi siamo coinvolti in questa storia. Noi non solamente ricordiamo un evento passato, ma siamo chiamati a continuarlo nella nostra vita. Silesio, un mistico del XIV secolo discepolo di Eckart, diceva: «Sarebbe inutile la nascita di Gesù a Betlemme, se non nascesse nuovamente nelle nostre case e nei nostri cuori». È una metafora molto chiara.

Cosa significa che Gesù può rinascere per noi? Significa che noi continuiamo l’avventura che lui ha iniziato, perché non l’ha esaurita nella sua vita; anzi, la sua vita ha rappresentato appena l’inizio se è stato ucciso perché la sua proposta è stata rifiutata e solo un piccolo gruppo di discepoli ha continuato poi, dopo averlo incontrato vivo, la sua missione, che pian piano si è estesa. Noi siamo qui per continuare la sua missione.

E in cosa consiste questa missione? Potremmo indicare due aspetti, molto semplici ma concreti, che hanno dei riflessi anche nella storia che stiamo vivendo. Perché il Natale che celebriamo ha un carattere tutto particolare, data la situazione dell’umanità, la tappa nuova che sta iniziando, con tormenti, con dubbi, con paure – anche con angosce, in alcuni luoghi. Ma l’angoscia di un luogo, oggi lo sappiamo, diventa l’angoscia di tutta la terra, perché siamo uniti nella stessa avventura. È un Natale quindi diverso da quello degli altri anni. Dobbiamo perciò interrogarci: che cosa implica per noi celebrare il Natale, continuare la missione che Gesù ha avviato?

Il Natale ricorda una grande verità: che nella nostra piccola storia è in azione una realtà più grande di noi, una forza molto più profonda della nostra capacità di azione, una verità molto più ricca dei nostri pensieri o delle ideologie degli uomini o delle dottrine che diffondono o delle filosofie: è una verità molto più luminosa che ci attira, che guida il nostro cammino, se la riconosciamo. È in azione nella storia degli uomini una giustizia molto più esigente dei progetti che gli uomini fissano nei loro codici o nei loro programmi politici, una giustizia che ripropone costantemente nuovi orizzonti di fraternità e di condivisione.

Noi siamo inseriti in questo cammino. Ma questa azione profonda, questa forza che si esprime nella storia degli uomini, non può essere efficace finché non diventa gesto, decisione, desiderio, idea di uomini. Questo è il punto centrale del Natale, che in fondo celebra l’incarnazione.

L’incarnazione non è un evento di un istante, è un processo. Anche per Gesù: la manifestazione di Dio in Gesù non si è realizzata la notte di Natale, quando è iniziato il cammino, la vera manifestazione si è realizzata nella Pasqua, quando la gloria di Dio rifulse nella sua carne. E il lungo cammino dell’esistenza di Gesù è stato precisamente il processo per cui la Parola di Dio ha preso carne, cioè la sua forza è diventata decisione di un uomo, la sua verità è diventata pensiero di un uomo.

Il cammino che Gesù ha realizzato nella sua vita continua ancora oggi nelle comunità che accolgono la Parola e la vivono con fedeltà. Ci sono ancora molti aspetti dell’azione di Dio che devono esprimersi, molte forme di condivisione, di fraternità, di comunione tra gli uomini, di giustizia, di pace, che sono stati solo proclamati e non sono ancora realizzati. E ce ne sono molti altri che non sono stati neppure pensati perché sono troppo grandi rispetto alle nostre capacità attuali di desiderio e di azione. Le generazioni future potranno allargare gli orizzonti.

Se non ci sono però persone che accolgono questa parola, che la traducono nella propria vita realizzando forme nuove di comunione, di fraternità, di giustizia, di condivisione, di pace, l’azione di Dio è vanificata, è inutile che Gesù sia nato. Per questo è importante che ci raccogliamo a celebrare la nascita di Gesù, per continuarne il significato nel mondo, l’efficacia nel mondo; altrimenti la storia degli uomini finisce tragicamente, perché gli uomini oggi possono far terminare in modo drammatico la loro avventura sulla terra. Finora la vita ha trionfato, finora il bene ha prevalso sul male, finora la giustizia ha prevalso sull’ingiustizia, ma non è garantito che questo avvenga anche domani, non c’è da nessuna parte questa garanzia. La garanzia è quella della vita eterna, ma sulla terra non è garantita la realizzazione del Regno; è possibile, ma questa possibilità è affidata alle nostre mani, solo alle nostre deboli mani. Le nostre mani sono deboli, ma la forza che le sostiene è molto più grande di noi. È questa la garanzia della possibilità del regno di Dio sulla terra e quindi della pace che possiamo desiderare e cominciare a realizzare.

Certamente non potremo con un solo gesto, con una sola parola, realizzare i progetti di fraternità e di giustizia nel mondo, ma occorre cominciare. E noi con questo Natale possiamo cominciare un cammino nuovo, per tutta l’umanità. E se i cristiani raccolti nel mondo cominciano a compiere passi nuovi di fraternità, di giustizia, per la realizzazione della pace, aprendosi all’azione di Dio per realizzare questo progetto, allora certamente domani sarà un giorno nuovo per la storia dell’umanità. E questo è possibile.

CARLO MOLARI (Cesena, 1928 - 2022)
è stato uno dei più autorevoli teologi italiani. Monsignore e presbitero, Ha insegnato Teologia dogmatica all’Università Lateranense, in quella Urbaniana e nell'Istituto di Scienze religiose della Gregoriana. Dal 1961 al ’68 è stato Aiutante di Studio della Congrega-zione per la Dottrina della Fede, dal ’66, per un decennio segretario dell'Associazione teologica italiana.
Ha pubblicato molti libri e saggi su temi teologici e spirituali. È stato un amico e collaboratore di Ore undici fin dalle origini.
Il testo che pubblichiamo è tratto dalle dispense delle sue omelie (anno liturgico 2001/2002)