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Il regno è comunità

La cura della vita

la «piazza del mondo» di Trieste è simbolo della cura di ogni essere umano verso il suo prossimo

di Paula Lemos della Comunità di Linda

La nostra Comunità è nata nel 1969, quando abbiamo scelto di dare vita a un nuovo modo di vivere la vita religiosa e di testimoniare la fede, condividendo una vita comunitaria laica. Agli inizi eravamo un centinaio: molte italiane, una libanese, una russa-iraniana, una austriaca e in maggioranza brasiliane.

Gran parte del nostro gruppo proviene dall’esperienza, lontana nel tempo, di missione in Brasile di Linda e Maria Elena, inviate di una Congregazione missionaria italiana, dedicata allo Spirito Santo, che, in Brasile, Iran, Libano, Filippine e Canada, si occupava dell’educazione della gioventù. Maria Elena e Linda non seguivano solo le alunne delle scuole, ma molti altri giovani e adulti che pregavano, si interrogavano sulle risposte di fede necessarie alle sfide che emergevano dalla realtà sociale, politica, ecclesiale del Paese e del mondo.

Gli anni Sessanta del Novecento sono stati segnati da grandi trasformazioni, fermento, utopie e speranze, culminati nel concilio Vaticano II che, nella Chiesa, liberava le coscienze e forniva un supporto teorico perché si passasse da una fede vincolata a precetti e dogmi a una fede-prassi che invitava alla lotta per una società più giusta e più equa, riconciliando cielo e terra. In America Latina, poi, Paulo Freire con la Pedagogia degli Oppressi risvegliava la coscienza critica delle classi svantaggiate; la Teologia della liberazione e la Conferenza dei vescovi a Medellín confermavano la scelta preferenziale per i poveri.

Di fronte a tutto questo, ci domandavamo se il nostro modo di vivere la fede e di testimoniare il messaggio evangelico fosse consono al momento storico e agli appelli dello Spirito. Sentivamo urgente la necessità di cambiare il nostro modo di vivere la vita consacrata e di intraprendere un altro stile di vita e di impegno; abbiamo chiesto alla Congregazione il permesso di poter iniziare un percorso diverso, ma non c’è stata possibilità di dialogo. Dopo tante preghiere e riflessioni, tutte insieme, abbiamo deciso di fare un passo radicale di coerenza, per trasformare in vita l’appello che sentivamo provenire dallo Spirito. La rottura con la Congregazione, dolorosa ma convinta, è stata inevitabile.

A guidare il gruppo, in maggioranza molto giovane, c’erano Maria Elena e Linda, senza le quali la comunità non sarebbe diventata quella che è stata ed è ancora oggi. È stata la loro lungimiranza, ma soprattutto la loro fede illuminata e profonda, a permettere a un piccolo gruppo di donne di iniziare un’avventura di fede senza ritorno, libera da ogni vincolo istituzionale. Eravamo determinate a voler vivere la vita fraterna, senza opere proprie, in mezzo alla gente, lavorando per mantenerci, mettendo tutto in comune e impegnandoci con gli ultimi.

Sebbene alcuni vescovi brasiliani, tra i quali don Helder Câmara, ci avessero offerto di diventare comunità diocesana, abbiamo preferito proseguire la nostra navigazione “in mare aperto”. Nostri punti di riferimento sono stati il Vangelo, gli Atti degli Apostoli e la Lettera a Diogneto: «Si radunavano per pregare nelle loro case e condividevano la vita e i beni, non si distinguevano nel modo di vestirsi, lavoravano come tutti secondo le possibilità e le capacità di ognuno e mettevano tutto in comune prendendosi cura gli uni degli altri». Anche la vita e l’esperienza dei Piccoli fratelli e delle Piccole sorelle di Ch. De Foucauld, a cui ci lega una grande amicizia, sono state un importante confronto.

Dal 1970 è iniziata la nostra “diaspora”, a seguito della crescente oppressione del regime dittatoriale brasiliano nei confronti di tante realtà religiose e dell’attività per il Tribunale Russell II contro le dittature latinoamericane che Linda aveva iniziato, su proposta del parlamentare italiano Lelio Basso, e che aveva attirato l’attenzione della polizia militare verso la nostra Comunità. Una dopo l’altra, a gruppetti, siamo arrivate tutte in Italia, viaggiando su navi da carico grazie all’aiuto di un amico italiano.

Sconosciute, senza lavoro, con una nostra convivenza da ricreare, vivevamo sulla nostra pelle la preghiera che avevamo formulato: «Vogliamo partecipare al rischio della vita di tutti gli uomini». Eravamo in 33, avevamo scelto l’anonimato ma viverlo realmente non era facile. Alcune hanno preferito lasciare il gruppo, altre siamo rimaste e ci siamo stabilite a Roma e ad Assisi, accettando tutti i lavori che ci venivano offerti: pulizie, cura di bambini e di anziani; il lavoro era indispensabile per poter ottenere il permesso di soggiorno. Poi, poco per volta, quasi tutte ci siamo inserite nell’ambito della disabilità: anziani, ragazzi con problemi di apprendimento, sordomuti, ciechi, malati mentali dimessi dall’ospedale psichiatrico di Perugia o seguiti dal Centro di igiene mentale, che vivevano in famiglia. Linda e altre due lavoravano a Roma per la Fondazione Internazionale Lelio e Lisli Basso; lavoro che ci coinvolgeva tutte durante le sessioni del Tribunale Russell contro le dittature.

Al centro della nostra vita c’è sempre stata la dimensione fraterna: mettiamo tutto in comune e decidiamo insieme i passi da fare. Non c’è “quella” che decide per tutte, ma cerchiamo di rispettare i doni e le caratteristiche di ognuna.

La preghiera, personale e comunitaria, ci ha sempre sostenuto. Per noi, pregare significa celebrare la vita che viviamo e lo facciamo, ogni sera, attraverso la lettura di testi del Vangelo o di altre confessioni religiose, con canti, poesie, articoli di giornale. La nostra preghiera dunque non è fissa, ma la creiamo ogni giorno prestando attenzione agli eventi della nostra vita e del mondo. Una volta alla settimana celebriamo l’Agape, un momento di condivisione più ampio. Spesso ci sono degli amici che si uniscono alla nostra preghiera.

Con il passare degli anni, la nostra vita quotidiana è inevitabilmente cambiata. In Comunità ora siamo sedici e viviamo tutte insieme a Roma. Siamo quasi tutte pensionate, due di noi sono ancora impegnate per la Fondazione Internazionale Lelio e Lisli Basso, una con Ore undici e una con la Scuola Penny Wirton; alcune altre sono impegnate nel volontariato.

Cerchiamo di far sì che la nostra vita quotidiana sia occupata da interessi per il mondo e di rispondere alle richieste di aiuto che ci arrivano da ogni dove. Coltiviamo l’amicizia che, come abbiamo imparato da Sorella Maria di Campello, consideriamo «un sacramento».

Il tempo passa e sentiamo «le forze di diminuzione». Ma cerchiamo di non arrenderci, di coltivare e trasmettere sempre «le ragioni della speranza che ci sostiene». Ci siamo promesse di avere cura l’una dell’altra fino alla fine.

Fin dall’inizio abbiamo scelto di non avere continuità. Il nostro gruppo finirà con noi. Perché crediamo che lo Spirito susciti in ogni epoca nuove espressioni di vita e di fede. Non abbiamo nemmeno un nome che ci identifichi. «Come la scia, la nostra esperienza finirà con noi, dopo la superficie del mare tornerà indifferente al passaggio. È stato un piccolo agitarsi delle acque, ma una rotta tenace in armonia col grande sommovimento dell’universo», come ha scritto Linda a chiusura del suo libro Lettere ad un amico.

Guardando a ritroso, vediamo (non come nel Deuteronomio) che «il nostro vestito si è tante volte logorato e il nostro piede gonfiato», ma lo Spirito Santo ci è sempre stato a fianco e non ci siamo mai sentite sole o abbandonate. Sappiamo di aver seguito un appello e di aver gettato un seme nel cammino, che Dio porterà, o no, a nuova fioritura. Di tutto ciò che abbiamo ricevuto e vissuto possiamo solo essere infinitamente grate.

Del gruppo storico di collaboratrici di Ore undici fa parte Paula Lemos, brasiliana, che da oltre trent’anni segue i progetti di solidarietà in Brasile, nati dall’amicizia con fratel Arturo e poi sviluppatisi per iniziativa di don Mario.
In questo articolo Paula e la Comunità con cui vive ci raccontano la loro storia di fedeltà allo Spirito, al di fuori di ogni riconoscimento istituzionale, lunga oltre cinquant’anni.