Intervista di Silvia Petitti
Quando suono il campanello di casa, all’ora fissata per l’appuntamento, sento dei passi avvicinarsi dall’interno dell’abitazione. È una donna ad aprirmi e farmi entrare nell’anticamera, dove si affaccia lo studio del professore al quale va ad annunciarmi. Te ne eri dimenticato? Sono occupato da altri pensieri. Non ho guardato l’agenda. L’imbarazzo di avere disturbato viene sciolto dalla stretta di mano e dal sorriso bonario con cui Paolo Ricca, professore e pastore valdese, accoglie la mia presenza e si rende disponibile all’intervista. Ci accomodiamo e inizio a domandare.
Prof. Ricca, lei è nato in una famiglia di religione valdese e ha abbracciato quella tradizione in modo per così dire “naturale”. Quando ha maturato la consapevolezza di appartenere a quella fede? Mio padre è stato pastore della chiesa valdese, nella valle torinese del Pellice, dal 1932 al 1950; era anche laureato in Lettere e per un anno ha insegnato al collegio di Torre Pellice in una scuola media, e in quell’anno sono nato io. Poi preferì continuare ad essere pastore e non insegnante e quindi ci trasferimmo a Bobbio Pellice, l’ultimo paese della valle prima degli alpeggi e della frontiera con la Francia alla quale si può accedere anche a piedi. Lì sono vissuto fino ai 12 anni, poi sono stato due anni a Torre e nel ‘50 ci siamo trasferiti a Firenze dove ho fatto il liceo. Sono diventato membro della Chiesa a Firenze, ma la consapevolezza del significato di appartenere a una Chiesa e di professare una fede l’ho maturata quando ho cominciato gli studi teologici a Roma, nel 1954. Studiando la teologia ho preso coscienza del significato e della portata della fede e dell’annuncio della fede, avendo già chiaro l’idea di diventare pastore.
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