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Tenerezza

una virtù civile e concreta necessaria alla politica

È considerata la virtù dei deboli. Un atteggiamento da vivere fra le mura domestiche, ma da tenere a bada nella sfera pubblica, dove altrimenti si correrebbe il rischio di essere giudicati poco virili e competitivi. Eppure la tenerezza è il grande bisogno del nostro tempo, una virtù civile e persino politica, nel senso di costruzione del vivere insieme. È la tesi della teologa Isabella Guanzini, docente all’Università di Graz, autrice di Tenerezza: la rivoluzione del potere gentile (Ponte alle Grazie).
C’è tempo oggi per la tenerezza?
Oggi la vita richiede molta durezza. Prevalgono altri valori: la prestazione, la strategia, anche un po’ di cinismo. Non a caso la parola del momento è cool, che richiama proprio una sorta di freddezza, di distacco nei confronti delle cose e delle persone. Eppure c’è chi ci dice che la tenerezza sia quello che ci manca per poter vivere e sentire in un mondo comune, per poter essere più umani.
Non è un sentimento, lei scrive, ma una forza capace di trasformare la società e addirittura la politica. Come?
A parlare di “rivoluzione della tenerezza” è stato papa Francesco, che ne ha atto il centro del suo annuncio e della sua azione pastorale. Mi sono imbattuta in questa sua espressione e da lì ho cominciato la mia ricerca. Credo che la sfera del politico, nel senso ampio del termine, si giochi e concretizzi in tutti i gesti e gli incontri che fanno parte della nostra giornata e della nostra vita. Per questo la tenerezza, come approccio fondamentale all’altro, costruisce la città, lo spazio pubblico.
Questo il Papa lo ha capito molto bene.
Non è più possibile partire da concetti astratti. Bisogna farlo dai gesti elementari, più immediati, con i quali si costruisce giorno per giorno la vita. La tenerezza è una virtù civile in questo senso. In ufficio, in un’aula scolastica, in ascensore o al supermercato: è lì che si costruisce la polis, cioè il vivere comune, della quale i gesti di gentilezza e tenerezza sono costituitivi.
Dai social media ai dibattiti in televisione, sembra che l’aggressività oggi domini i rapporti…
In questo periodo storico i social network sono quasi una cassa di risonanza di ferocia. Contengono una potenza comunicativa immediata e debordante che si riversa sul bersaglio del momento. Diventano il ricettacolo di tutti i nervosismi e le insoddisfazioni, come se fossero un campo magnetico. Ma proprio in quanto cassa di risonanza è possibile sfruttarli nella direzione opposta, immettendo qualche antivirus. Da un lato è possibile far emergere questa reattività disumana, e dall’altra diffondere un altro modo di essere social.
Perché la tenerezza fa paura?
Perché la fragilità è il grande tabù del nostro tempo: entrare in contatto con la propria e quindi essere in grado di sentire quella dell’altro è forse la cosa più difficile oggi, ma anche la più importante. Perché senza questa percezione dei propri limiti e della propria finitezza non c’è saggezza di vita e nemmeno la possibilità di entrare in un rapporto davvero umano con l’altro. La tenerezza è un certo sentimento del tempo, perché sentire la fragilità è anche sentire – come recita Gualtieri – che “è breve il tempo che resta”. Non abbiamo molto tempo per stare insieme, per trattare l’altro in modo umano, che sia il figlio, il genitore, il collega o l’amico, il marito o la moglie. Quindi perché essere così duri? Perché sprecare energie in durezza, ferocia, indifferenza? È questo che contraddistingue la tenerezza: il legame con la finitezza della vita.

Intervista alla teologa ISABELLA GUANZINI, realizzata da Emanuela Citterio per Famiglia Cristiana (20 settembre 2017).