tratto da “Triduo pasquale – Meditazioni” di don Carlo Molari
Quali sono i simboli che Gesù ha introdotto? Sono tre, ma due li mettiamo insieme. Prima di tutto la lavanda dei piedi, secondo: lo spezzare il pane e distribuirlo ai suoi e il far passare il suo calice ai presenti. Perché ha introdotto questi simboli? E quale significato hanno? Noi non possiamo rispondere in modo assoluto, perché le intenzioni di Gesù dobbiamo scoprirle attraverso quel poco che emerge dal racconto. Ma in questi due casi io credo che non andiamo lontano dal vero seguendo le indica-zioni che ci vengono dai Vangeli.
La lavanda dei piedi: una purificazione e un invito al servizio
La lavanda dei piedi è narrata solo da Giovanni, i Sinottici non ne fanno cenno. Perché non ne fanno cenno? È difficile rispondere. Io credo che si possa supporre che quando sono stati scritti i Vangeli la lavanda dei piedi non venisse più celebrata nelle prime comunità cristiane, mentre gli altri due simboli, il pane e il vino, erano diventati familiari, perché ogni domenica venivano ripetuti nella celebrazione dell’eucarestia. Del resto quelli che hanno scritto i Vangeli sinottici, non avendo partecipato alla cena, non avevano avuto un’esperienza immediata di quell’azione di Gesù, l’avevano solo sentita raccontare, non ne erano rimasti profondamente colpiti come invece Giovanni che era presente. Quindi può darsi che la lavanda dei piedi sia rimasta come una tradizione nella comunità nata attorno a Giovanni, per cui la ritroviamo nel suo Vangelo.
Leggiamo il racconto. Prima della festa di Pasqua (notate come qui Giovanni precisa il tempo: era ‘prima’, quindi non era nella celebrazione pasquale) Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine (Gv 13,1). Notate questo inizio che potremmo chiamare l’antifona del lungo racconto, il portale del cammino che Giovanni vuole descrivere: Avendo amato ai suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. Quindi quello che sviluppa è sotto il segno dell’amore, e vedremo che i simboli si richiamano precisamente all’esercizio dell’amore che Gesù esprime e che sollecita dai suoi. L’insegnamento fondamentale riguarda appunto l’amore. È per questo che a questo triduo pasquale è stato messo il titolo ‘Un amore che vince la morte’: proprio perché è un amore che attraversa tutte le fasi della sofferenza e della morte fino alla resurrezione.
Mentre cenavano, […] Gesù […] si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: ‘Signore, tu lavi i piedi a me?’. Rispose Gesù: ‘Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo. Gli disse Simon Pietro: ‘Non mi laverai mai i piedi!’ Gli rispose Gesù: ‘Se non ti laverò, non avrai parte con me’. Gli disse Simon Pietro: ‘Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!’. Soggiunse Gesù: ‘Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti’. Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: ‘non tutti siete mondi’. Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: ‘Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di colui che l’ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica (Gv 13,2-17).
Mi fermo qui nel racconto, perché i dati per capire il senso del simbolo sono ormai tutti presenti. Dovete però ricordare che questo racconto contiene già degli sviluppi di Giovanni o del discepolo o di chi ha scritto il Vangelo. Siamo circa settant’anni dopo la morte di Gesù, quindi erano maturate delle riflessioni. Anche il titolo ‘Signore’ è un titolo successivo, come quello di `figlio di Dio’, quindi rappresenta l’elaborazione di un’esperienza compiuta nei confronti di Gesù da parte dei suoi discepoli.
Sottolineo solo un dato: Gesù dà importanza al gesto che compie, che è un gesto di purificazione dal male, perché dice: se non ti laverò, non avrai parte con me. Potremmo dire che dà un valore sacramentale, se accettate questa formula, al gesto che compie. Ma perché purifica? Perché è espressione di un atto d’amore, ed è l’amore che purifica.
Qui è Pietro che è in gioco, ma poi tutti quelli che erano dentro la sala il giorno dopo il sabato, tutti hanno ascoltato quella parola di Gesù: Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete resteranno non rimessi (Gv 20,23). C’è una funzione di remissione dei peccati che è affidata a tutti. È quello che Paolo chiamerà nella II Corinti “il ministero della riconciliazione”, del perdonare i peccati: noi tutti abbiamo una funzione di remissione dei peccati dei fratelli. Noi questo lo dimentichiamo, pensiamo semplicemente al sacramento – che poi si è sviluppato e ha assunto una sua modalità, nei secoli è cambiato notevolmente nella Chiesa – ma c’è una funzione di base, perché tutto quello che i sacramenti esprimono è la vita quotidiana della comunità ecclesiale. Anche il battesimo: ogni giorno la comunità deve testimoniare la fede per far crescere figli di Dio. Ogni giorno deve esprimere amore per alimentare la vita, ogni giorno deve esprimere amore per purificare, cioè per sollevare chi è nel male dalla sua condizione. Questo è fondamentale nella nostra vita. Noi quando vediamo il male spessissimo abbiamo sentimenti di rifiuto, di reazione, di emarginazione di chi lo compie, di condanna… e dimentichiamo di svolgere quella funzione che invece è essenziale, che è quella del ministero della riconciliazione, della purificazione.
Che la lavanda dei piedi sia un simbolo di purificazione è chiarissimo. Infatti Gesù dice: chi ha fatto il bagno non ha bisogno di lavarsi se non i piedi. Camminavano per strade polverose, come sapete. E d’altra parte non c’erano tutti gli abiti che noi oggi portiamo e quindi i piedi dovevano essere lavati; quando uno entrava in casa di un altro facilmente gli veniva offerta l’acqua per la lavanda dei piedi, perché era il primo gesto di accoglienza di un ospite. Quindi Gesù dice: Chi ha fatto il bagno non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo. E voi siete mondi, ma non tutti. Probabilmente qui Giovanni si riferisce a Giuda, ma in ogni caso c’è questo richiamo alla purificazione dal peccato, che è la condizione fondamentale per crescere armoniosamente e per costituire comunità vive. Noi dovremmo essere consapevoli di questo: il primo compito che abbiamo è quello di perdonare i peccati e di accogliere il perdono dei fratelli. Spesso invece viviamo questo termine ‘perdono’ come se fosse una sentenza giuridica. No, è comunicare vita perché chi ha fatto il male possa uscire dalla sua condizione. Il gesto quindi è molto indicativo e dovremmo diventare, come dice Paolo, ministri quotidiani di riconciliazione. Perché il male ci accompagna sempre come sappiamo, fa parte della nostra vita, noi non possiamo evitare il male: non c’è nessun gesto che compiamo che non porti il segno dell’insufficienza, dell’egoismo, dell’inadeguatezza. Siamo nati imperfetti e incompiuti: solo quando Dio sarà tutto in noi saremo compiuti. Ma ancora Dio è un frammento nella nostra vita.
Allora, consapevoli di questo, dovremmo ogni giorno scambiarci questa forza di vita che viene dalla sua presenza nella nostra vita. Perché noi non perdoniamo i peccati perché siamo buoni, ma perché esprimiamo la potenza dell’azione di Dio in noi. E come la esprimiamo? Con gesti di amore, di quell’amore teologale di cui avremo ancora occasione di parlare, cioè di quella rivelazione dell’azione di Dio accolta e tradotta in gesti. E il primo gesto che Gesù compie è proprio questo della purificazione. Quindi è proprio per rendere mondi totalmente: Non ha bisogno di lavarsi se non i piedi perché è già mondo.
C’è poi l’indicazione successiva del significato della lavanda dei piedi, che potremmo definire del servizio: Dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. Un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. Qui introduce un’altra idea che in Luca è più chiara, perché Luca riporta proprio in questa circostanza quella discussione che deve essere capitata altre volte tra i discepoli: chi di loro fosse il più grande, chi avesse maggiore autorità sugli altri. Anche quella sera capitò quel discorso: proprio durante la cena (Lc 22), probabilmente per stabilire i posti dove dovevano mettersi, perché per la cena pasquale c’era tutta una gerarchia della famiglia, era un rituale ben fissato: il più piccolo doveva restare all’ultimo posto perché doveva fare poi le domande. Può darsi che la discussione sia sorta per quello. Ad ogni modo: Sorse una discussione, chi di loro poteva essere considerato il più grande. Egli disse: ‘I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così, ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve.’ Qui Luca non riporta la lavanda dei piedi, ma capite allora subito l’indicazione che Giovanni ha: ‘Vi ho dato infatti l’esempio perché come ho fatto io facciate anche voi. In verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone.’ Vedete qui il richiamo: Per voi non sia così, ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve.
Quindi la simbologia della lavanda dei piedi, oltre a quell’aspetto della purificazione, ha per Gesù un’indicazione molto chiara: io sono in mezzo a voi come colui che serve e vi ho dato l’esempio perché anche voi facciate allo stesso modo.
Questo insegnamento è fondamentale, perché sempre noi ci poniamo di fronte agli altri dalla parte di chi è sopra. Se voi notate, noi continuamente nei giudizi, nei rapporti, sempre abbiamo un atteggiamento interiore di superiorità; e se non riusciamo ad averlo, perché non troviamo le ragioni per farlo, non stabiliamo un rapporto autentico, viviamo con quello che chiamiamo il ‘complesso di inferiorità’. Perché è un complesso? Perché non siamo in grado di metterci nello stato di inferiorità, cioè di servizio, stiamo male sentendoci inferiori. Gesù dice che questa dovrebbe essere la caratteristica decisa, scelta, da parte nostra. Sono indicazioni molto semplici, ma di una profondità straordinaria, per vivere armoniosamente i rapporti. Se voi vedete, i nostri rapporti sono sempre inquinati dalla presunzione di superiorità o dal complesso di inferiorità. Perché non siamo in grado di metterci al servizio, cioè di metterci all’ultimo posto, di metterci nella condizione di chi serve. E perché lo possiamo fare? Perché l’azione di Dio quando viene accolta fiorisce in noi come dono di vita da consegnare. Guardate, non è un servizio dello schiavo, non è un servizio di chi deve sottomettersi ad altri, ma di chi deve consegnare un dono di vita che non gli appartiene. Per questo siamo servi. Siamo servi di Dio a favore dei fratelli, perché consegniamo un dono di vita che fiorisce da Lui, perché diceva Gesù: Dio non è Dio dei morti ma dei vivi, perché per lui tutti vivono (Lc 20,38).
Se noi vivessimo in questa consapevolezza, che ogni rapporto che viviamo è l’ambito dove un dono divino viene scambiato, capite che rispetto avremmo gli uni degli altri, reciprocamente, che attenzione. Anche in un semplice incontro lungo la strada c’è uno scambio di vita, c’è un dono grande da consegnare: siamo al servizio della vita, dell’azione di Dio.
Io credo che il rammarico più grande che andando avanti nella vita sorge è proprio quello di non avere svolto questo servizio, di aver trascurato molte occasioni di relazione, di rapporto. Proprio per le ragioni che dicevo prima, cioè per la presunzione della nostra superiorità e per il complesso di inferiorità, che sono due risvolti delle stesse dinamiche interiori. Per voi però non sia cosi, diceva Gesù, ma chi è il più grande si ponga al servizio, chi ha accolto il dono più grande lo offra, lo consegni, perchè appunto il dono della vita non può essere trattenuto ma deve essere consegnato.
Il pane e il vino: simboli della Nuova Alleanza
Gli altri due simboli li celebreremo nel rito dell’eucarestia che avremo più tardi. Possiamo metterli insieme sotto un segno unico, il simbolo del dona della vita appunto che Gesù compie.
Leggiamo da Luca (22,19s): Preso un pane, rese grazie (Matteo e Marco hanno “detta la benedizione”, che ha un carattere un po’ più ebraico; Luca non era un ebreo, ma d’altra parte utilizza anche la formula di Paolo nella I Corinti), lo spezzo e lo diede loro dicendo: ‘Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me’. Alla stesso modo, dopo avere cenato, prese il calice dicendo: ‘Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue (oppure in Matteo e Marco: “è il sangue dell’alleanza”) che viene versato per voi’ (anche Matteo dice “versato per voi”). Il gesto che Gesù compie dello spezzare il pane e darlo ai discepoli e di far passare il suo calice è l’indicazione chiara del valore che Gesù affida alla morte di fronte alla quale si trova. Egli intende dare la vita, offrire la vita, per iniziare la fase nuova dell’alleanza, quella di cui avevano già parlato i profeti, prefigurandone delle caratteristiche particolari. Gesù sottolinea questo dato: la Nuova Alleanza inizia con un’offerta di vita e consiste nel dono della vita. Le simbologie perciò dello spezzare il pane e del bere il calice sono simbologie molto chiare, sia per parte di Gesù sia per parte dei discepoli, che sono chiamati a far memoria: Fate questo in memoria di me.
Qual è il contenuto di questa memoria da rinnovare? Il gesto del dono di vita che Gesù fa, espresso proprio nel pane spezzato e nel calice del vino distribuito, che richiama espressamente il sangue, come Gesù dice. E voi ricordate che nella concezione ebraica il sangue era l’ambito dove l’azione di Dio esprimeva la sua forza vitale anche di purificazione, per richiamare la simbologia precedente. Il sangue infatti veniva versato anche il giorno dello Yom Kippur, che era il giorno della purificazione -o dell’espiazione, come diciamo noi – che gli ebrei celebrano tuttora, anche se adesso non hanno più il sacrificio. Il sommo sacerdote versava il sangue sul caporetto, la lastra d’oro che co-priva l’arca che era dentro il sancta sanctorum, per potenziarlo con l’azione di Dio e la memoria degli eventi straordinari dell’esodo; poi usciva e lo versava sull’altare proprio come segno di purificazione. Quindi vedete questi richiami simbolici da parte di Gesù.
Ma per noi l’indicazione è molto chiara: per noi celebrare l’eucarestia significa fare memoria del dono di vita che Gesù ha compiuto per rinnovarlo nei nostri rapporti, nella nostra esperienza quotidiana: anche noi siamo chiamati a spezzare il pane e a offrire vita ai fratelli per crescere insieme. Quindi come il primo simbolo della purificazione era esercitare amore per liberare dal male, il secondo simbolo è esercitare amore per far crescere le persone come figli di Dio, per alimentarci spiritual-mente ogni giorno.
Capite allora che ogni incontro quotidiano, ogni rapporto che noi stabiliamo, dovrebbe avere queste due tensioni interiori: esercitare amore per liberare dal male e per far crescere come figli di Dio: cioè per alimentare la dimensione spirituale delle persone che incontriamo e vivere i rapporti accogliendo il dono di vita che altri ci offrono. Vedete, non si tratta di fare cose straordinarie, non si tratta di compiere miracoli, si tratta di vivere in modo da rivelare Dio nella nostra vita, da comunicare quell’energia vitale che fa crescere figli di Dio. Questo è il rammarico che io credo ci accompagnerà man mano che cresciamo: di non avere vissuto e di non vivere in piena consapevolezza questa realtà e questa missione che ci è stata affidata.
Riflettiamo un momento, manteniamo in silenzio un raccoglimento interiore, per renderci conto del significato che ha per noi, per vivere in comunione, stabilire rapporti. Allora ogni eucarestia che celebriamo diventerà proprio un momento di piena consapevolezza del compito che ci è affidato e un allenamento a svolgerlo. Invece spesso l’eucarestia sta là come un episodio chiuso in se stesso, come se avesse valore perché diamo gloria a Dio o perché cantiamo i benefici ricevuti dal Signore e lo ringraziamo. No, è un allenamento per vivere la memoria di Gesù, per celebrare nella nostra vita quell’amore che Gesù ha rivelato e che continuamente ci viene offerto, perché Dio è il Principio della nostra vita, è la Fonte di tutto ciò che noi siamo. Fermiamoci un momento a riflettere, manteniamo quel clima di interiorità che dovrebbe caratterizzare sempre la nostra esistenza se fossimo consapevoli del tesoro grande che portiamo con noi e che possiamo scambiarci, solo che prendiamo coscienza dell’azione di Dio nella nostra vita e dell’immenso compito che il Signore ci ha affidato come suoi ministri.