tratto da “Meditazioni” di Cristiano Bortoli
«Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e viprenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo cono scere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». (Giovanni 14, 2-6)
C’è un piccolo libro di Christian Bobin, lo stesso autore di Francesco e l’infinitamente piccolo, che ha per titolo I’uomo che cammina. Ha un titolo simile anche un famoso libro di Martin Buber, Il cammino dell’uomo. Il testo di Bobin è però assai più breve. L’autore racconta di un uomo che cammina e cammina. Non fa lunghi viaggi o percorsi strani, ma va sempre, cammina per le strade e incontra la vita così com’è. Incontra il funerale, le nozze, il deserto, i pranzi. Incontra l’uomo nella sua dignità: il bambino, il povero, l’obbediente, ma anche l’essere umano nel suo degrado: i violenti, i mentitori, le folle, i soldati, le prostitute. A quelli che incontra propone di seguirlo. Quelli che lo seguono sono, in fondo, un po’ matti nell’accettare di seguirlo. Ma quante volte la vera saggezza, la vera sapienza sta in quelle strade, in quelle scelte che all’opinione altrui paiono pazze. Certe follie contengono talvolta più verità del nostro conformismo e di tutto il nostro operare. Il protagonista del libro dice, come nell’evangelo: dove vado io voi non potete venire però vado a prepararvi un posto e un giorno sarete con me (cfr. Giovanni 14,2-3). La sua predicazione, il succo di tutta la sua parola è l’amore, la condivisione, la comunione, dimensioni che costringono ad uscire da sé, perché un gesto d’amore è sempre un uscire per donarsi. La comunione e la condivisione sono il movimento di chi esce da sé per donare qualcosa, meglio ancora se dona sè stesso. Per me l’essenziale dell’evangelo è questo fare del mondo una grande famiglia. È questo il programma che Gesù ci ha lasciato. Tutto il resto è meno importante, è relativo. Gesù dice: andate, uscite per incontrare il volto degli altri, vivete questo e raccontatelo. Se volete camminare con me: seguitemi. Dio sa che l’uomo è un camminatore; noi abbiamo dentro questo sti molo, questo desiderio, questa spinta a camminare. Se un bimbo vuole vivere, deve uscire dal ventre della madre, se vuole crescere deve scendere dalle sue braccia, se vuole crescere ancora deve uscire dalla porta di casa e incominciare i suoi viaggi, assumersi responsabilità, dare e ricevere amicizia, affetto, tutto questo per incontrare finalmente la libertà, la professione, la conoscenza, per essere, in fondo, sè stesso.
A differenza della pietra, che sta ferma statica e passiva, l’uomo cammina. Dalla letteratura ci sono state consegnate grandi icone del viaggio. La prima è quella di Ulisse. Egli parte da Itaca, gira, viaggia, incontra persone, situazioni strane, pericoli, fa quindi ritorno alla sua terra: un viaggio circolare, un viaggio che prevede ritorno. Ulisse infatti torna a casa a trovare la moglie, il padre, il cane, i servi. Enea invece parte per una casa, per un paese che non conosce, si volge verso orizzonti diversi, non ritorna a casa. Il suo è l’andare verso l’ignoto, il misterioso, lo sconosciuto. Anche Ulisse di Dante non finisce il viaggio ad Itaca, ma una volta tornato in patria, dopo una breve sosta, riparte verso ciò che non sa. Questo attira Ulisse, lo attira perché è misterioso andare verso orizzonti altri, superiori, misteriosi.
Ci sono cammini molto felici, ma ci sono anche cammini strani, che ti fanno smarrire, perché non hanno paletti di riferimento. Non hanno una direzione precisa, a percorrerli sono persone raminghe, nomadi erranti, senza meta. Li hanno cantati Rimbaud, Verlaine, Baudelaire: è un andare perdendosi, è un andare chiudendo gli orizzonti, è un andare naufragando. Questi sono cammini verso il nulla, verso la dissoluzione. Ora camminare va bene, ma se non c’è una meta, dove andare? Ogni vento è buono per la nave che ha un porto dove andare.
Allora io guardo il mio cammino e mi chiedo: dove sto an dando? Che cammino sto facendo? Io non so da dove vengo, non so in quale luogo sto andando, neanche so cosa sono o cosa sto cercando. Questa è l’immagine dell’uomo moderno: non sa da dove viene, né dove va, né cosa sta cercando. Solo continua a camminare. Ma io so che devo ritrovare ciò che ho perduto, la strada sarà lunga: questo so! Se noi facciamo un po’ di silenzio, se ne abbiamo il coraggio, ci ritroviamo come creature che a volte hanno dentro uno spaesamento, un senso di irrequietezza. Agostino aveva detto che il cuore dell’uomo è inquieto, Heidegger dirà che è eccentrico, ossia ha un centro fuori di sé, ma non sa dove sia.
Penso che lo scopo del viaggio sia trovare la mia via. È questo il più vero, degno e serio cammino verso la mia interiorità.
Dove sta la mia anima, qual è la mia anima? Chi sono io? Dove sto andando? Certo fuori mi dicono tante cose, mi insegnano delle strade, dei modelli, delle funzioni. Posso mettermi addosso e coprirmi con dei paraventi che l’ambiente mi offre, con i ruoli e con le maschere che mi creo, ma dov’è realmente la mia anima? Ancora: qual è la parola che sono? Io sono una parola detta da Dio; ebbene, qual è la parola mia da dire? O la luce che porto? O l’aiuto che reco?
Machado, poeta spagnolo dice: «Il cammino si fa camminando. Volgendo indietro lo sguardo si vede il percorso che mai si dovrà calpestare». Il sentiero si fa camminando: come a pregare si impara pregando, ad amare si impara amando, il sentiero si impara camminando. Ci vuole coraggio e fedeltà, perché alla buona volontà succede la stanchezza, si sostituisce la voglia di fermarsi, di fare come tutti o di tornare indietro. È stata la tentazione del popolo ebreo. Ma nella vita accade anche che Dio ti stia cercando, e ti ponga la domanda che ha fatto all’inizio al primo uomo: dove sei? (Genesi 3,9).
Dove sono? Si tratta di una delle domande fondamentali che in fondo più ci aiutano. Diceva Platone: un uomo che non si pone mai domande non ha la sua dignità, non è degno di vivere. Ci sono domande che scheggiano, che aiutano, che aprono. Nel famoso film Una storia vera, un anziano vecchio e malandato, claudicante, decide di mettersi in viaggio per andare a trovare il fratello che non vedeva da dieci anni e a cui non parlava più a causa di un litigio. Quest’uomo inizia il viaggio con un trattore e percorre la strada lentamente, molto lentamente. La distanza da coprire è di seicento miglia, e viene compiuta in sei settimane, incontrando difficoltà, persone, situazioni. Alla fine ritrova il fratello e, in questo meraviglioso e silenzioso incontro, i due si guardano negli occhi e si abbracciano. Una vera storia di cammino. Mi chiedo: c’è qualche cammino che io debba an cora intraprendere? C’è qualche cosa di non fatto, che io devo compiere?
Il Signore disse ad Abramo: alzati e va’ (Genesi 12,1). Nel cammino biblico è sempre ben noto il cammino di partenza, ma il dove si arriva rimane sconosciuto. Qui c’è la difficoltà del cammino di fede. Il cammino della vocazione ha questa incertezza: andare verso una meta che tu non sai, a volte la intravedi e poi subito la perdi, come la stella dei Magi che ricompare di nuovo. È il viaggio del fidarsi: la fede è avere fiducia. C’è una bellissima definizione di un profeta minore, Michea, in merito: credere è camminare con Dio (cfr. Michea 6,8). Lo ripete Gesù: io sono la via, la strada, seguimi (cfr. Giovanni 14,6).
Vorrei pregare allora affinché tutto ciò che faccio sia un camminare con Gesù. La preghiera, i sacramenti, le norme, le prati che sulle quali noi poggiamo, sono solo dei mezzi, degli aiuti in modo che il mio rapporto, la mia comunione, il mio stare con Gesù si approfondisca, diventi forte, vero, profondo: questa è la fede cristiana. Allora io vorrei camminare nella vita accanto a Gesù, ma godendo di tutto ciò che la vita offre: dalle nuvole al sole, dal volto di un bambino a un fiore, al vento. Godere di tutto ciò che rappresenta la vita e mi aiuta nel mio cammino. E io pregherei che anche la notte, le tenebre, le paure, il deserto, non mi facessero male ma facciano parte di un’esperienza che possa essere trasformata in fede, in fiducia, in festa. Camminerei godendo di tutto, come ospite in mezzo alle cose e in mezzo a tutti, godendo delle cose e godendo di tutti, sapendo che Dio mi ha fatto custode del volto degli altri ed insieme pellegrino.
E parafraserei un brano di Turoldo, I’aquilone, dicendo: va’, ama, saluta la gente per la strada, dona, perdona, ama ancora, saluta, dai la mano, dimentica, ricorda solo il bene. È un tuo viaggio. Godi del nulla che hai, del poco che basta, giorno dopo giorno, e pure quel poco, se è necessario, dividilo e vai leggero dietro il vento, il sole, la luna. Canta il sogno del mondo: che tutti i paesi si contendano di averti generato.
Concludo dicendo che il Signore, prima di andarsene, ha lavato i piedi ai suoi apostoli: li ha preparati per il cammino. Ha lavato loro i piedi, ovvero Gesù si inchina a facilitarci il cammino: il pane, l’eucaristia, l’ultima cena. La parola sua è come luce, l’eucaristia è come la parola in te. Infine ti lava i piedi.
Abbiamo appena passato la festa dell’epifania, festa del viaggio. I Magi fecero ritorno ai loro lontani paesi, senza oro, senza mirra, senza cavalli né cammelli, senza riferimenti nel cielo, soltanto seguendo una incancellabile stella di luce interiore che additava il cammino. L’augurio che ci facciamo è che questa stella interiore non abbia mai da eclissarsi o tramontare.