Viviamo dentro una “prigione immaginaria”.
Inizio la mia riflessione da un passo molto forte del libro del Deuteronomio: La vita e la morte ho posto davanti a te, la benedizione e la maledizione. Sceglierai la vita così tu e la tua stirpe vivrete. (30,19). Sceglierai la vita. Quando diciamo vita, diciamo molte cose. Io vorrei mettere in evidenza due aspetti tra loro complementare. Il primo è la fragilità della vita, molto più fragile e vulnerabile della materia inanimata. Una pietra è meno fragile della vita animata, dura nel tempo più di una esistenza umana. Ma se ci domandiamo che cos’è la vita e interroghiamo le Scritture, vediamo che la vita umana arriva al settimo giorno della creazione, nel giorno del riposo del Padreterno. Dio prese della terra, ne fece un mucchietto e vi soffiò sopra. Quel soffio diede inizio al processo della vita. La vita ha inizio da un soffio di Dio. Cosa c’è di più fragile e passeggero di un soffio, di più potente e sconvolgente di un soffio di Dio? La fragilità è la forza della vita. Tutti constatiamo quanto la vita sia potente e allo stesso tempo quanto sia fragile perché in continua trasformazione, in un processo evolutivo che richiede continuamente di essere compreso, accolto, scelto. Noi veniamo alla vita non per nostra scelta, ma ogni momento della nostra esistenza richiede una scelta per la vita. Quante volte viviamo l’esperienza di non vivere pienamente la nostra esistenza, né la società né la religione ci aiutano ad incontrare la vera vita, anzi tendono ad alienarci e allontanarci da essa.
Ma la minaccia più grande sono le nostre nevrosi che consumano buona parte delle energie che dovrebbero permetterci di entrare nella vita, godere di essa, appassionarci al suo divenire. Potrei tacere e ognuno potrebbe raccontare la sua sofferenza di vivere, il suo dolore. C’è un’immagine che mi sembra rappresenti bene la condizione di chi è vittima di questo dolore: la prigione. Ognuno di noi si “sente prigioniero” di qualcosa: dello spazio dove vive, del momento storico attuale, delle proprie relazioni, del proprio corpo, della propria mente, delle proprie angosce. Ognuno di noi si inventa qualcosa per rendere sopportabile la prigione, la abbellisce di “oggetti di arredo”, proprio come le celle dei carcerati, perdendo il sapore e la ricerca della libertà che è la vita piena. Molte scelte che compiamo, a pensarci bene, servono più per arredare la prigione che per farci uscire. Il dolore di esistere lo portiamo dentro. Le nostre nevrosi sono espressione della difficoltà che abbiamo a vivere. Che fare?
Vorrei riprendere il tema del nulla. Fratel Arturo ci parla dell’esperienza del nulla1: Tutti prima o poi abbiamo fatto esperienza di qualcosa che ci ha fatto toccare con mano il nulla che noi siamo. È molto importante questa esperienza di consapevolezza, è un punto di arrivo ma anche di partenza perché segna la rinascita della propria vita. L’esperienza del nulla ci dà la giusta dimensione di ciò che siamo, è l’esperienza che ci fa sentire veramente fratelli gli uni degli altri. Penso ai genitori che non sanno come prendere i loro figli, penso a chi perde il lavoro, penso a quelle coppie dove non si vede soluzione ai conflitti. Se partiamo dall’esperienza del nulla che noi siamo, possiamo capire dove sta l’altro, quello che forse sta facendo per non vivere quella sgradevole ma ontologica esperienza dell’esistenza che è il nulla. L’esperienza del nulla ci aiuta a capire che amare non significa altro se non offrire il nulla che noi siamo, far dono di quel nulla che ha una grande preziosità, che è il respiro di Dio. In quel punto, forse possiamo scoprire che la prigione non esiste e che ci stiamo rovinando l’esistenza pensando di essere prigionieri. Invece siamo liberi perché siamo il respiro di Dio. Dentro ciascuno di noi c’è una tale ricchezza e potenza di vita che nessuno ci può imprigionare. Il punto è avere il coraggio e la capacità di sperimentare il nulla che noi siamo e metterci in ascolto del respiro di Dio, dentro e fuori di noi. Qualunque sia il tempo che ci toccherà di vivere, qualunque siano le condizioni esterne, noi vivremo veramente e pienamente se il nostro impegno sarà quello di ascoltare il respiro di Dio in noi e di scoprire, attorno a noi, la dinamica creata dal respiro di Dio nel fratello che ho accanto. Come imparare a vivere questo? Vi suggerisco la logica dell’agricoltore, che non crea ma asseconda il processo della vita. La logica dell’agricoltore è la consapevolezza. L’agricoltore crea le condizioni affinché il seme piantato sotto la terra non venga soffocato dalle piante infestanti, riceva l’acqua e la luce necessarie al suo crescere, ovvero l’agricoltore consente al processo di svilupparsi. Allo stesso modo la nostra vita è un piccolo granellino che si inserisce nel grande processo della vita, che ha i suoi tempi e i suoi livelli di maturazione, e noi non li possiamo forzare. Se ci voltiamo indietro nella nostra vita, ci accorgiamo che quello che pensiamo adesso un tempo non l’avremmo pensato, quello che siamo oggi non lo immaginavamo. La novità giunge sempre dal crescere della consapevolezza, sia nell’esperienza della vita sia in quella dell’amore. Per entrare nella logica della vita, dobbiamo imparare a essere centrati sul nostro desiderio, sui processi della vita che cambiano continuamente dentro di noi, dobbiamo diventare soggetti desideranti. Non c’è nulla che crea cambiamento quanto incontrare una persona consacrata a fare crescere la vita prima di tutto dentro di sé. Solo così potremo dedicarci alla vita nascente, creando le condizioni affinché gli altri, a cominciare dai bambini, scoprano che la cosa più importante della vita è ascoltare i suoi processi e cercare di esprimerli in tutte le possibili manifestazioni. Incontrare e fare esprimere dentro di noi e attorno a noi il soffio di Dio è una storia infinita.
Don Mario De Maio
(da “Oreundici” di dicembre 2012)