Se vogliamo imparare ad amare, dobbiamo procedere nello stesso modo in cui dobbiamo apprendere qualsiasi altra arte, per esempio la musica, la pittura, la falegnameria o l’arte della medicina o della ingegneria. Alcuni anni fa Erich Fromm, nel suo famoso libro “L’arte di amare”, ci offriva qualche suggerimento su come affrontare questo cammino. L’amore è un’arte che va imparata, un viaggio impegnativo che dura tutta la vita, non si tratta di conoscere delle teorie o apprendere delle tecniche, ma di affinarsi, giorno per giorno, nell’esperienza fondamentale che sta alla base del vivere umano. Ciò di cui abbiamo bisogno nella nostra vita è l’amore, nelle sue due essenziali dimensioni: possiamo amare ma anche essere amati, possiamo essere soggetti o oggetti dell’amore. L’amore struttura il nostro modo di essere al mondo. L’amore ha bisogno dell’altro. L’esperienza dell’amore, l’esperienza di qualunque amore, passa attraverso la relazione con l’altro, con la sua differenza e con la sua complessità. Sin dall’inizio della nostra vita l’altro ci accoglie, ci accompagna, ci struttura nel nostro percorso di identificazione e di differenziazione. Nell’altro ci rispecchiamo, ci sentiamo riconosciuti, valorizzati, ma a volte anche non capiti, respinti, non rispettati. In poche parole l’altro ci determina, ci condiziona, ci “altera”. E’ l’esperienza dell’amore in tutta la sua complessa dinamica che crea in noi la necessità di amare. Ci sentiamo parte di una miracolosa dinamica che ci prende nel profondo e che ci spinge a metterci in un rapporto speciale con gli altri. L’amore cerca l’altro, desidera mettersi in relazione con l’altro, riuscire a conoscere l’altro, sperimentare la vita insieme all’altro, trascorrere il tempo che ci è dato con l’altro. Amiamo i nostri cari, i nostri amici, il nostro lavoro. Amiamo i poveri, amiamo le persone felici e quelle tristi, arriviamo ad affermare di amare Dio. In questo quaderno riportiamo molte delle riflessioni che i relatori ci hanno offerto nel convegno invernale “L’altro che mi altera”. Quando diciamo “l’altro” da amare a chi ci riferiamo? Poche volte riflettiamo quanto sia importante per la nostra esperienza d’amore amare soprattutto l’altro di noi stessi, l’altro che è in noi e con il quale è difficile stabilire un rapporto positivo. Quella parte di noi che in certi momenti ci sfugge, che non capiamo, non accettiamo e che ci altera, con cui non riusciamo a fare armonia per strutturare l’unità profonda del nostro essere. Da questo difficile e pur indispensabile rapporto di amore dipende la qualità di tutte le altre nostre relazioni. Il comando evangelico ricco di saggezza psicologica e spirituale “ama gli altri come te stesso” viene da noi cristiani puntualmente disatteso o sottovalutato. Il comandamento ci dice di amare con tutto il cuore, la mente e le forze, cioè con tutto quello che noi profondamente siamo. Cari amici, nel tempo in cui viviamo, in cui l’altro diverso da noi per cultura, religione, ci interroga e ci altera sempre di più, siamo chiamati ad assumere la responsabilità di imparare l’arte dell’amore. E che l’amore sia più forte della morte, Gesù ce lo ha testimoniato con la sua vita. Ci invita a crederlo e a farne il cardine della nostra esistenza.
P.S. Stiamo lavorando per rinnovare i nostri quaderni. Ci sono argomenti o suggerimenti che vorreste siano approfonditi maggiormente? Aspettiamo le vostre osservazioni per arricchire il nostro periodico.
don Mario