“I nostri figli non ereditano un Regno, ma un corpo morto, una terra sfiancata, una economia impazzita, un indebitamento illimitato, una mancanza di lavoro e di un orizzonte vitale.” Questa condizione indicata da Massimo Recalcati nell’introduzione al suo ultimo libro (Il complesso di Telemaco, Feltrinelli 2013), è ampiamente vissuta da molti giovani, in forma più o meno consapevole. Recalcati individua la causa della crisi della società odierna nella scomparsa della presenza del padre, nella “evaporazione della figura del padre” (Lacan). Quale padre li potrà salvare se il nostro tempo è quello del suo tramonto irreversibile? “Il padre che oggi viene invocato non può esser il padre che ha l’ultima parola sulla vita e sulla morte, sul senso del bene e del male, ma solo un padre radicalmente umanizzato, vulnerabile, incapace di dire qual è il senso ultimo della vita ma capace di mostrare, attraverso la testimonianza, che la vita può avere un senso“. Il cammino di ricerca da parte delle nuove generazioni di una identità nuova, in cui possa ricomparire la forza del “desiderio“ di cui sono state derubate, sarà lungo e faticoso e dovrà attraversare questo vuoto di figure significative di riferimento. Nella religione come nella politica assistiamo alla ricerca di figure che possano rispondere alla radicale e sofferta mancanza. Papa Francesco, con la sua disarmante e profonda semplicità, sembra rispondere a questo bisogno diffuso trasversalmente nella società di oggi. La sua spiritualità profonda, che gli ha fatto strutturare una identità chiara e ben definita, gli permette di reinterpretare il ruolo del Papa uscendo da un modello consolidatosi nei secoli. L’immagine nuova che lui offre, risponde alle attese di una figura paterna, vicina ad ogni fatica umana. La sua presenza è diventata “quella inutile carezza che sconvolge il mondo“ (Alda Merini).
don Mario