di Paolo Ricca (“Esodo” n. 1 del gennaio-marzo 2020)
Una delle maggiori anomalie, per non dire infedeltà, della cristianità odierna è il regime di apartheid eucaristico (non c’è modo di chiamarlo altrimenti, anche se rincresce di doverlo fare), nel quale vive, sembra serenamente, ormai da un millennio fino ad oggi, la grande maggioranza dei cristiani. La Chiesa cattolica infatti, tutte le Chiese ortodosse e un certo numero di Chiese evangeliche applicano alla mensa del Signore le regole dell’apartheid: escludono cioè dalla partecipazione a quella mensa tutti i cristiani che non appartengono alla loro comunità. Perciò, solo i cattolici romani sono autorizzati a partecipare all’eucaristia celebrata nella Chiesa cattolica: gli altri cristiani, salvo eccezioni, ne sono esclusi. Analogamente, solo i cristiani ortodossi possono partecipare alla comunione celebrata nelle Chiese ortodosse: gli altri cristiani ne sono esclusi. In alcune Chiese evangeliche, solo i cristiani battezzati da adulti possono partecipare alla Cena del Signore: ne sono esclusi tutti i cristiani battezzati da bambini, in quanto considerati non battezzati.
Questa situazione di «mense separate» e senza comunicazione tra loro, pur celebrando lo stesso rito e confessando lo stesso Signore, dura, come s’è detto, da secoli, ed è diventata talmente abituale da sembrare normale: non solo non scandalizza nessuno, ma non desta più neppure qualche stupore. In realtà, però, è un vero e proprio tradimento della volontà di Gesù, che sicuramente mai avrebbe immaginato che proprio la Cena, da lui celebrata e istituita per unire strettamente i suoi discepoli a sé e tra loro, potesse diventare pomo della discordia e motivo di divisione e reciproche scomuniche, come invece è successo e continua a succedere. Le Chiese continuano imperterrite a praticare (e giustificare!) questo apartheid, pensando di avere molte buone ragioni per mantenerlo. Non si notano segni evidenti di un ripensamento su questa questione: l’anomalia sembra dunque destinata a durare ancora.
In che cosa consiste, propriamente, l’anomalia? Le anomalie sono due. La prima, e fondamentale, è la privatizzazione della Cena del Signore da parte delle singole Chiese, che hanno fatto e fanno della Cena, che è un dono per tutti, una proprietà privata per alcuni, un loro possesso esclusivo, snaturandone il senso e restringendone arbitrariamente l’orizzonte. La seconda è che da un lato la Cena ci rende tutti ospiti di Gesù, e solo come ospiti possiamo prendervi parte; d’altra parte però, se escludiamo altri cristiani dalla mensa, diventiamo inospitali, contraddicendo la nostra qualità di ospiti, perché un ospite inospitale è una contraddizione in termini. Se, come crediamo e affermiamo, alla mensa di Gesù siamo tutti ospiti suoi, perché tutti da lui invitati, chi ci autorizza a negare ad altri cristiani la qualità di ospiti, se davvero siamo persuasi che la Cena da noi celebrata è la Sua, e non la nostra? Chi, sapendosi ospite di Gesù, oserebbe imporgli una lista degli invitati decisa e compilata da noi? Che ospite è mai quello che si comporta come padrone di casa? C’è però un antidoto all’apartheid eucaristico: è l’Ospitalità eucaristica.
Diverse Chiese protestanti dette “storiche” l’hanno adottata già da tempo e la praticano regolarmente. Così pure la praticano, dovunque questo è possibile, individualmente o come gruppi, cristiani appartenenti a Chiese diverse (compresa la Chiesa cattolica), talvolta trasgredendo le leggi in materia stabilite dalle Chiese. C’è insomma un numero crescente di cristiani che non accetta più l’apartheid eucaristico. È un fenomeno nuovo, ancora relativamente poco conosciuto, ma che merita di esserlo.
Che cos’è l’Ospitalità eucaristica? L’Ospitalità eucaristica è un modo inclusivo, non esclusivo, di concepire e celebrare la Cena del Signore. È quindi un modo di essere Chiesa non nella presunzione che la nostra sia l’unica, la vera Chiesa di Cristo, ma nella convinzione che essa appartiene, insieme alle altre, all’unica, vera Chiesa di Cristo, di cui solo lui conosce i confini (se pure li ha!), il suo corpo sulla terra.
L’Ospitalità eucaristica è la Cena celebrata da una cristianità in cammino che, come afferma l’apostolo Paolo, non è ancora «giunta alla perfezione» (Filippesi 3,12), non è ancora entrata nella pienezza della sua verità, non è ancora pervenuta alla meta del suo lungo viaggio, è Chiesa dell’Esodo, che avanza fiduciosa verso la terra promessa, «dimenticando le cose che stanno dietro, e protendendosi verso quelle che stanno davanti» (Filippesi 3,13) e rispondendo insieme all’invito di Gesù di sedersi alla sua mensa. Non è la fine del viaggio, è però una tappa benvenuta e benedetta.
Certo, l’Ospitalità eucaristica è un modo provvisorio, non definitivo, penultimo, non ultimo, di celebrare la Cena, sapendo che solo nel Regno, che insieme aspettiamo e invochiamo, essa avrà il suo compimento, di cui la comunione della Cena è già oggi anticipo e promessa. «Ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte sarà abolito» (1Corinzi 13,10). È in questo orizzonte che si collocano l’idea e la pratica dell’Ospitalità eucaristica.
Sul piano operativo essa consiste in questo: ogni Chiesa che la pratica considera benvenuto o benvenuta qualunque cristiano o cristiana di un’altra Chiesa che desideri e liberamente decida di partecipare alla Cena del Signore in quella Chiesa, diversa dalla propria, celebrata secondo la liturgia di quella Chiesa. Per la regola della reciprocità, che caratterizza i rapporti fraterni fra cristiani (dove c’è fraternità, c’è reciprocità; dove non c’è reciprocità, non c’è vera fraternità), ogni cristiano o cristiana, a qualunque Chiesa appartenga, si considera invitato o invitata dal Signore a partecipare a qualunque mensa eucaristica, dovunque venga allestita.
Questo significa, in concreto, che, per esempio, un cristiano o una cristiana cattolici sono invitati e benvenuti a partecipare alla Cena celebrata in una Chiesa evangelica e, inversamente, un cristiano o una cristiana evangelici sono invitati e benvenuti a partecipare alla Cena celebrata in una Chiesa cattolica. In altri termini, Ospitalità eucaristica significa che ogni Cena del Signore, in qualunque Chiesa venga celebrata, è aperta a tutti i cristiani, a qualunque Chiesa appartengano.
Ci sono condizioni per questa partecipazione? Ce ne sono tre. La prima è che tutto avvenga nella fede e in obbedienza all’invito di Gesù. La seconda è che i cristiani che partecipano a una Cena celebrata secondo una liturgia (e quindi una comprensione) diversa dalla propria, sappiano quello che fanno e perché lo fanno. La terza è quella indicata dall’apostolo Paolo, e cioè che tutti «discernano il corpo del Signore» (1Corinzi 11,29) – che lo discernano sia nella Comunità celebrante, sia nella condivisione del pane e del vino offerti da Gesù. La Cena infatti non è un picnic religioso, ma un incontro con il Signore vivente e con i fratelli e le sorelle da lui convocati.
Quali sono le ragioni dell’Ospitalità eucaristica? Le principali sono tre:
1. La prima ragione è quella già accennata: in fondo c’è un’unica Ospitalità eucaristica, che è quella di Gesù nei nostri confronti. A dire il vero, tutte le Chiese riconoscono questo fatto, poi però non si comportano in coerenza con quello che dicono. È l’ospitalità di Gesù che fonda la nostra, che non è altro che il prolungamento della sua, che è molto ampia, dato che Gesù, come risulta dai racconti evangelici, unanimi su questo punto, celebrò la Cena anche con Giuda.
2. La seconda ragione
è che ciò che unisce i cristiani nella celebrazione della Cena sono il pane, il
vino e le parole di Gesù sul pane e sul vino. Queste tre cose esistono (in
varie forme, ma uguale sostanza) nelle celebrazioni eucaristiche di tutte le
Chiese. La condivisione di questi tre elementi è il vincolo profondo che non
solo autorizza, ma incoraggia la partecipazione comune alla Cena da parte di
tutti i cristiani, in qualunque Chiesa sia celebrata.
Quello che divide i cristiani non è la Cena, ma la sua interpretazione.
Ma le interpretazioni, di qualunque tipo esse siano (variano infatti molto:
dalla transustanziazione all’interpretazione simbolica!), non sono costitutive
della Cena. Perché non lo sono? Per il fatto semplice, ma decisivo, che né
Gesù, né Paolo, né alcun pastore, vescovo o teologo della Chiesa antica, hanno
mai ritenuto di dover spiegare la Cena, e quindi interpretarla. E non saremo
certo noi che possiamo presumere di poter spiegare quello che né Gesù, né Paolo
hanno voluto spiegare! Questo non significa che sia vietato interpretare la
Cena. Significa che l’interpretazione, pur necessaria o quantomeno utile, non
è, come s’è appena detto, costitutiva della Cena. Gesù l’ha istituita senza
spiegarla, quindi senza interpretarla. Questo vuol dire due cose. La prima è
che ogni interpretazione è lecita, ma nessuna può pretendere di essere quella
di Gesù, e quindi di essere rivestita della sua autorità. Tutte le nostre
interpretazioni, anche quelle sancite e proclamate da concili e sinodi, sono
umane, più o meno plausibili e convincenti, ma nessuna è normativa per la fede,
essendo priva di autorità apostolica. La seconda è che nessun cristiano,
partecipando alla Cena nella propria Chiesa o in una diversa dalla propria, è
tenuto a rinunciare alla propria interpretazione, ma neppure gli è lecito
imporla ad altri come condizione per vivere con loro la comunione eucaristica
offerta da Gesù, che, lo ripetiamo, è comunione nel pane, nel vino e nelle sue
parole, e non in questa o quella delle diverse interpretazioni possibili.
3. La terza ragione dell’Ospitalità eucaristica è che quando una Chiesa, qualunque essa sia, celebra la Cena del Signore, compie un rito (se così lo vogliamo chiamare) che trascende i confini di quella Chiesa, e appartiene alla Chiesa universale, che è quella di tutti cristiani, e di cui solo Dio conosce i membri. La stessa cosa vale per il Battesimo: chi viene battezzato «nel nome di Gesù» come a Pentecoste (Atti 2,38), o «nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo», secondo la parola di Gesù (Matteo 28,19), in qualunque Chiesa avvenga il battesimo, appartiene alla Chiesa universale: è un Battesimo valido per tutte le Chiese. Analogamente, la Cena del Signore non appartiene a chi la celebra, ma a coloro ai quali il Signore la offre, cioè a tutti i cristiani. Ecco perché tutti i cristiani hanno diritto di parteciparvi, come invitati e ospiti del Signore.
Per queste tre ragioni, l’Ospitalità eucaristica non solo è possibile, ma merita di essere accolta, consigliata e raccomandata.
Qual è il valore dell’Ospitalità eucaristica? È duplice. In primo luogo essa rivela che i cristiani, nelle cose fondamentali della fede, sono già oggi più uniti di quello che la persistente divisione delle Chiese lascerebbe supporre. Questa unità nelle cose fondamentali esiste realmente, ed è bene che l’Ospitalità eucaristica ne sia un segno. È vero che su diverse questioni non secondarie le divergenze anche profonde permangono.
Lo sappiamo e occorre tenerlo ben presente. Ma non c’è solo divisione tra i cristiani, e comunque è indubbio che oggi siamo meno divisi di ieri. E come in una famiglia, o tra amici, non c’è bisogno di essere d’accordo su tutto per partecipare a una cena comune, così i cristiani non hanno bisogno di essere d’accordo su tutto per accettare l’invito di Gesù a sedersi alla sua mensa insieme: basta riconoscersi come fratelli e sorelle, nonché come peccatori perdonati, e riconoscere Gesù come nostro comune Signore e Salvatore.
C’è chi sostiene che prima ci dev’essere l’unità, e solo dopo si potrà partecipare insieme alla Cena.
Ma, a parte il fatto che l’attuale apartheid eucaristico viene praticato dalle Chiese come se fosse autorizzato, mentre è sicuramente un’infedeltà palese al volere di Gesù, noi riteniamo che l’Ospitalità eucaristica non sia un’anticipazione illecita, o una velleitaria fuga in avanti, ma un passo concreto nella direzione giusta e un notevole incentivo ad accelerare il cammino verso l’unità.
Il secondo valore dell’Ospitalità eucaristica è proprio che è una comunione nelle differenze, oppure, detto con altre parole, un modello di «diversità riconciliata» C’è comunione perché c’è condivisione del pane, del vino e delle parole di Gesù, e ci sono differenze (di interpretazione) che permangono, ma non impediscono la comunione, non essendo costitutive della Cena.
La comunione nelle differenze, o diversità riconciliata, è proprio il tipo di unità cristiana verso il quale si sta muovendo il Movimento ecumenico, e che ha nell’Ospitalità eucaristica una felice anticipazione.