di José María Castillo Sánchez del 23.04.22 su ww.religiondigital.com – traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli
La nostra relazione con Dio è così semplice e così complicata – entrambe le cose allo stesso tempo – che probabilmente molti di noi che ci consideriamo credenti, forse siamo in realtà atei. E al contrario, molti di coloro che affermano con certezza di essere atei, probabilmente sono in realtà credenti.
Perché questa interpretazione così strana e contraddittoria? La Bibbia nel libro dell’Esodo dice che Dio si rivelò a Mosè in un roveto ardente (Es 3, 1-3). E dal roveto uscì la voce del Signore che disse: “Ho visto l’oppressione del mio popolo in Egitto e ho ascoltato i suoi lamenti contro gli oppressori, conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo…” (Es 3, 7-8). Com’è logico, di fronte a un compito così difficile Mosè chiese a Dio: “Se mi chiedono: qual è il tuo nome?” Al che Dio rispose: “Io sono colui che sono”. E aggiunse: “Dirai loro: «Io sono» mi manda a voi” (Es 3,14). E concluse: “Questo è il mio nome per sempre” (Es 3,15).
Che cosa significa tutto questo? Dio si fa conoscere con un nome e un compito. Il sostantivo è espresso in una frase grammaticale che ha un soggetto e un verbo, ma non ha nessun predicato. Riguardo al nome di Dio, se ci atteniamo a ciò che è o a chi è, non sappiamo né possiamo sapere nulla di Lui. Dio non può essere conosciuto, se pretendiamo di conoscere il suo essere o la sua essenza. Dio è il Trascendente. E la “trascendenza” è incomunicabile. È al di fuori dell’ambito della nostra capacità di conoscere.
Possiamo solo conoscere Dio non per quello che è, ma per quello che fa. Dio può essere conosciuto solo se ci dedichiamo al compito che Lui ci propone e ci impone: “Ho visto l’oppressione del mio popolo… Sono sceso a liberarlo”. Ecco la chiave e il compito nei quali possiamo conoscere Dio. In questa questione così oscura l’elemento determinante non sono le “idee” della nostra testa, ma le “opere” che la nostra vita realizza.
Il Vangelo di Giovanni mette l’espressione “Io sono” in bocca a Gesù fino a 18 volte. Quasi sempre con un predicato: “Io sono” il pane della vita, la luce del mondo, il buon pastore, la porta, la via… Ma nei suoi scontri con i capi della Religione Gesù ha detto loro: “Se non credete che «Io sono», morirete nei vostri peccati” (Gv 8,24). Inoltre, nello stesso scontro Gesù ha affermato: “prima che esistesse Abramo, «Io sono»” (Gv 8,58). Per questo Gesù arriva a dire: “Io e il Padre siamo uno” (Gv 10,29). Gesù si identifica con Dio.
Ma su cosa si basa una tale identificazione? Su un’argomentazione speculativa di idee o teorie, per quanto sublimi possano essere tali argomentazioni? Niente di tutto questo. L’identificazione di Gesù con Dio non si basa su teorie e argomenti. Tutto si basa sul comportamento di Gesù, sulle opere che Gesù compiva. Gesù stesso ha detto: “Le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi rendono testimonianza” (Gv 10,25). E ancor più chiaramente: “Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre” (Gv 10, 37- 38).
Ora, a quali “opere” si riferiva Gesù? Alla stessa cosa a cui si riferiva Dio quando aveva parlato a Mosè nel deserto: “Ho visto l’oppressione del mio popolo… conosco le sue sofferenze” (Es 3,7). Qui e in questo tocchiamo il fondo della questione. Gesù lo ha detto molto chiaramente: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io sono” (Gv 8,28). Il comportamento avuto da Gesù quando ha anteposto la liberazione di chi soffre alle leggi e ai riti della Religione, è stato quel comportamento che ha portato Gesù ad essere innalzato sulla croce.
Ciò che Dio desidera di più non è l’osservanza sottomessa dei “religiosi”. Prima di tutte le osservanze della Religione, ciò che prima di tutto Dio vuole è la liberazione dalla sofferenza degli oppressi di questo mondo e in questo noi troviamo Dio. Per questo è evidente che ci sono tanti fedeli osservanti che tranquillizzano le loro coscienze compiendo la loro rassicurante Religione. Pensando di essere molto religiosi, in realtà sono atei. Come è altresì evidente che chi incentra la propria vita sulla lotta contro la sofferenza degli oppressi, sebbene non sia osservante e sottomesso alle meticolose osservanze della Religione, in realtà è colui che può dire: se qualcuno vuole davvero rimediare alla sofferenza di questo mondo, sebbene fallisca come un criminale, questo “Io sono”.