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Un mistero chiamato Gesù

di Eugenio Scalfari in “la Repubblica” del 23 dicembre 2020

In questi giorni la società non soltanto italiana e non soltanto europea ma del mondo intero viene percorsa da ventate che alternano equilibrio e rivoluzione dei costumi. Direi che erano almeno quattrocento anni che non si vedevano fenomeni di questo genere, così profondi e così estesi.

Passeranno, si recupererà un equilibrio diverso da prima ma anch’esso stabile e progressista.

Vedremo, ma intanto esaminiamo quanto si verifica nel mondo e dentro di noi.

Questa particolare considerazione merita tutta l’attenzione possibile perché l’equilibrio del Sé è una base che non può essere in alcun modo scartata e non prevista.

La ragione è preziosa per raccontare e soprattutto per studiare l’evoluzione dei nostri istinti. La ragione razionalizza a posteriori, mai prima. Se prima non cambia il Sé è impensabile che l’Io possa cambiarlo.

Più che mai per rispondere ad una domanda così impegnativa bisogna ricorrere ad un caso estremo, il più estremo del quale la cultura occidentale disponga: quello di Gesù di Nazareth. Un uomo che ad un certo punto della sua vita, dopo essersi largamente esaminato in completa solitudine, dopo aver evocato il Tentatore per saggiare la propria resistenza alle sue lusinghe, comincia ad avvertire dentro di Sé un mutamento profondo e in costante aumento. Gli uomini sono tutti figli da lui creati a sua immagine e somiglianza: la sua sensazione si trasforma in una certezza: il Signore è il Padre e lui, Gesù, della stirpe di David, è il Figlio. Ma non figlio come tutti gli altri cresciuti nella fede della Scrittura, discendenti di Abramo educati al rispetto e all’obbedienza delle tavole mosaiche, dei comandamenti ivi contenuti. È il Figlio che è tutt’uno con la sostanza divina del Padre, Padre che ha deciso di umanizzarsi per farsi carico dei peccati del mondo e nella immensa misericordia vuole vivere accanto agli uomini, in mezzo a loro, condividendone la natura, la loro fragilità, le loro paure dall’interno. Il Padre si è umanizzato attraverso il Figlio, che nel momento in cui umanizza se stesso diventa l’intermediario esclusivo che indica agli uomini la via della salvezza.

Gesù sente nascere e crescere questa inaudita potenza.

Questo è uno dei possibili racconti di questo caso estremo che ha Gesù come protagonista e come documenti testimoniali tutti i Vangeli, con molte variazioni ma convergenti nella sostanza, e gli Atti degli apostoli, a cominciare da Paolo, la predicazione di Pietro e quella di Giovanni. Un lascito che si protrarrà per almeno quattro secoli e comincerà a trasformarsi in riunioni nelle diverse nazioni dell’orbe cristiana ed anche nel deposito delle religioni preesistenti per quel tanto che potrà essere metabolizzato dalla nuova Chiesa.

Ma non è questo il solo racconto possibile. Anzi agli occhi dei credenti e della Chiesa questo racconto è fuorviante e spesso da condannare o condannato. Il vero racconto ortodosso si basa sui medesimi documenti che del resto sono i soli dei quali si disponga. Ed è completamente diverso.

Non è Gesù, figlio d’un giovane falegname e di una giovanissima ragazza, a rendersi conto di una interna vocazione e potenza traendone le convinzione d’essere il Figlio di Dio ma è il Figlio di Dio ad umanizzarsi per recuperare l’antica alleanza deturpata e rotta dal peccato originale. Gesù non fa nessuna scoperta dentro di sé poiché sa da subito, dal momento stesso in cui l’angelo l’annunciò a Maria e il sacro embrione si formò nell’utero della vergine che quell’embrione contiene l’essenza divina del Cristo.

Cristo assume la forma dell’embrione umano: questa è la volontà del Padre e la sua. Cristo si identifica con l’Io umano chiamato Gesù e Gesù sa di essere Cristo. Nell’umano di Gesù resta operante un solo istinto: quello della carità, l’identificazione dell’Io con il prossimo. Il sacrificio dell’Io al Noi del prossimo. Il Cristo umanizzato è appassionato della propria sofferenza: è venuto apposta in mezzo agli uomini ed ha assunto il loro sembiante allo scopo di soffrire per loro e non potrebbe veramente soffrire se oltre al sembiante non ne avesse assunto la natura. La natura fragile e perfino la natura impaurita e insidiata dal dubbio. Ma quando, dopo tre giorni, risorgerà dal sepolcro e apparirà alle donne che l’hanno seguito in tutta la notte e l’hanno infine sepolto sotto una grande pietra, quando apparirà anche ai discepoli e darà loro le ultime istruzioni e l’ultimo saluto, ebbene, allora di umano avrà solo il sembiante e non più la natura. Gesù di Nazareth è morto, Cristo è risorto, il Figlio degli uomini ha cessato di esistere, il Figlio di Dio è tornato alla destra del Padre per l’eternità.

Questo è il racconto della Chiesa. Qual è la differenza tra chi interpreta i Vangeli alla luce della fede e chi cerca anche in quei testi uno strumento per comprendere la natura profonda della psiche e delle sue figure? E qual è il punto comune di quei due racconti?

Conosco due sole persone che hanno un’immensa autorevolezza: il cardinale Carlo Maria Martini, purtroppo morto da tempo, e papa Francesco, che ha interpretato alla perfezione questi racconti che hanno creato la religione cattolica e cristiana. Spero di poterlo incontrare al più presto, anche se ci sentiamo comunque al telefono e ci scriviamo.

Personalmente non sono credente, ma ho studiato come potevo le religioni in genere e quella cristiana in particolare. Fanno parte del mio modo di ragionare e di credere in un Essere che mi riempie l’Anima e la Ragione.