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Costruire la pace

Il senso profondo e bello dell’amicizia

la convinzione di don Mario nasce dal vangelo: «non vi ho chiamati servi ma amici»

di Lucia Capuzzi (giornalista e inviata della redazione esteri del quotidiano Avvenire, riserva da alcuni anni la sua collaborazione anche ai quaderni di Ore undici)

Il frammento forse più nascosto della «Terza guerra mondiale a pezzetti» è il conflitto che l’umanità ha dichiarato alla casa comune, la Terra. È uno scontro bellico a tutti gli effetti a giudicare dagli allarmi degli scienziati riuniti nell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc). E si somma ai già troppi in atto. Gli esempi, da Gaza a Kiev, alle guerre dimenticate di Sudan e Haiti, si sprecano. Le armi dominano la scena globale rivelando, però, al contempo la loro incapacità di risolvere i problemi per cui vengono impugnate. La trasformazione possibile, allora, non può che passare per la «via dell’insieme». Per questo, la Conferenza Onu sul clima è una buona notizia non solo per l’avvio della fine dell’era dei combustibili fossili. Il vertice ha dimostrato che i differenti Paesi, rivali geopolitici inclusi, sono in grado di decidere tutti insieme almeno sulle questioni vitali per i popoli del pianeta. Non era scontato. Al contrario, le premesse non potevano essere peggiori. Il summit chiamato a pronunciarsi sul futuro degli idrocarburi si è svolto in una petro-potenza, sotto la guida di un petroliere, Ahmed al-Jaber, amministratore delegato della compagnia di Stato, Adnoc. Eppure il vertice ha rotto il tabù: i combustibili fossili da cui dipendono l’86 delle emissioni inquinanti. Finora la diplomazia climatica non aveva mai potuto menzionarli esplicitamente. Si era dovuta limitare a parlare di gas serra da ridurre, stando attenta a non citarne la fonte principale. Anche al vertice Glasgow del 2021, un riferimento diretto – debole – all’idrocarburo più inquinante, il carbone, aveva comportato una tesissima maratona di trattative conclusa a plenaria in corso. Nel 2022, a Sharm el-Sheikh, qualunque passo avanti in tale direzione era stato stroncato sul nascere.
Si è dovuti arrivare negli Emirati, uno dei primi dieci produttori di oro nero, perché il paradosso apparisse in tutta la sua evidenza. E si decidesse – nonostante il muro di Arabia Saudita e Paesi produttori – di avviare la transizione. La formula scelta è arzigogolata. Alle parti si chiede di «avviare la transizione verso l’abbandono dei combustibili fossili nei propri sistemi energetici in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando le azioni in questo decennio». Una perifrasi di compromesso per dribblare il termine “eliminazione graduale”, data la ferrea opposizione di Riad. Il mandato è comunque forte. A Dubai è stato compiuto il primo passo per l’inizio della fine dell’era fossile. E si somma all’altro grande risultato della Conferenza: l’entrata in funzione del fondo per compensare i Paesi poveri delle perdite ambientali. L’esito maggiore è, però, proprio la capacità di decidere insieme, nonostante tutto. La Cop28 rilancia così il processo multilaterale, dopo che due anni di tensioni internazionali avevano ridotto al minimo le aspettative.
Usa, Russia, Cina, Iran e Israele, tutti hanno dovuto approvare l’intesa. Insieme. Questo è il punto di forza dei summit Onu sul clima. Insieme. Ci vogliono coraggio e profezia per crederci. Il coraggio e la profezia di Papa Francesco. Temendo di “sporcarsi”, i principali leader internazionali, da Joe Biden a Xi Jinping, hanno disertato la Cop28. Il Pontefice, invece, ha aggiornato la Laudato si con Laudate Deum per l’occasione. E ha annunciato, a sorpresa, l’intenzione di recarsi alla Cop28: il primo Pontefice nella storia a partecipare a una Conferenza sul clima. Purtroppo non ha potuto farlo, all’ultimo, per motivi di salute. Tramite il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, ha fatto arrivare la propria voce con un messaggio forte e inequivocabile.
La «via dell’insieme». È difficile, estenuante ed estremamente imperfetta. La Cop28 l’ha dimostrato, come lo dimostrano i mal di pancia delle nazioni più povere e di tanti attivisti di fronte alle inevitabili “litanie di scappatoie” presenti nel testo. È il limite del multilateralismo. L’alternativa, però, è la guerra.