Diritti naturali di bimbi e bimbe
il Manifesto contempla diritti spesso negati dalla società del benessere
di Gianfranco Zavalloni
1. Il diritto all’ozio.
Siamo in un momento della storia umana in cui tutto è programmato, curriculato, informatizzato. I bambini hanno la settimana programmata dalle loro famiglie o dalla scuola. Non c’è spazio per l’imprevisto.
Non c’è, da parte dei bambini e delle bambine, la possibilità di qualcosa di autogestito, di giocare da soli. C’è bisogno di un tempo in cui i bambini siano soli, in cui imparino a «vivere il sistema delle regole», imparando da soli a gestire i piccoli conflitti, senza la presenza eccessiva degli adulti. Solo così si diventa adulti sani.
2. Il diritto di sporcarsi.
«Non ti sporcare» è una frase tipica del genitore della società del benessere.
Credo che i bimbi e le bimbe abbiano il sacrosanto diritto di giocare con i materiali naturali quali la sabbia, la terra, l’erba, le foglie, i sassi, i rametti…
Quanta gioia nel pastrocchiare con una pozzanghera o in un cumulo di sabbia. Proviamo a osservare attentamente bimbi e bimbe in alcuni momenti di pausa dai giochi organizzati oppure quando siamo in un boschetto… e scopriremo con quanto interesse riescono a giocare per ore con poche cose trovate per terra.
3. Il diritto agli odori.
Oggi rischiamo di mettere tutto sotto vuoto. Abbiamo annullato le diversità olfattive, tipiche di certi luoghi. Pensiamo alla bottega del fornaio, all’officina del meccanico delle biciclette, al calzolaio, al falegname, alla farmacia.
Ogni luogo ha un proprio odore: nei muri, nelle porte, nelle finestre. Oggi una scuola, un ospedale, un supermercato o una chiesa hanno lo stesso odore di detergente. Non ci sono più differenze. Eppure chi di noi non ama sentire il profumo di terra dopo un acquazzone e non prova un certo senso di benessere entrando in un bosco e annusando il tipico odore di humus misto ad erbe selvatiche? Imparare fin da piccoli il gusto degli odori, percepire i profumi offerti dalla natura, sono esperienze che li accompagneranno lungo l’esistenza.
4. Il diritto al dialogo.
Dobbiamo constatare sempre di più la triste realtà di un sistema di comunicazione e di informazione unidirezionale.
Siamo spettatori passivi dei mass media, soprattutto della televisione. In quasi tutte le case si mangia, si gioca, si lavora, si accolgono gli amici «a televisione accesa». E la televisione trasmette modelli culturali, ma soprattutto plasma il consumatore passivo. Con la televisione non si prende certo la parola. Cosa diversa è raccontare fiabe, narrare leggende, vicende e storie, fare uno spettacolo di burattini: in questi casi anche lo spettatoreascoltatore può prendere la parola, interloquire, dialogare.
5. Il diritto all’uso delle mani.
La tendenza del mercato è quella di offrire tutto preconfezionato. L’industria sforna ogni giorno miliardi di oggetti “usa e getta” che non possono essere riparati. Nel mondo infantile i giocattoli industriali sono talmente perfetti e finiti che non richiedono l’apporto del bambino o della bambina.
L’abitudine al video-gioco è spesso incentivata dalla stessa scuola che, nel proporre l’introduzione del computer, ne suggerisce l’accattivante utilizzo ludico.
Nel contempo mancano le occasioni per sviluppare le abilità manuali e in particolare la manualità fine.
Non è facile trovare bambini e bambine che sappiano piantare chiodi, segare, raspare, scartavetrare, incollare… anche perché è difficile incontrare adulti che vanno in ferramenta a comprare i regali ai propri figli. Quello dell’uso delle mani è uno dei diritti più disattesi nella nostra società post-industriale.
6. Il diritto a un “buon inizio”.
Mi riferisco alla problematica dell’inquinamento. L’acqua non è più pura, l’aria è intrisa di pulviscoli di ogni genere, la terra è inquinata dalla chimica di sintesi. Si dice sia il frutto non desiderato dello sviluppo e del progresso. Eppure oggi è importante «tornare indietro»: ritrovare il gusto del camminare per la città, lo stare insieme in maniera conviviale. È questo che spesso i bimbi e le bimbe chiedono. Da qui l’importanza dell’attenzione a quello che fin da piccoli «si mangia, si beve e si respira».
7. Il diritto alla strada.
La strada e la piazza dovrebbero permettere l’incontro tra le persone.
Oggi, sempre più, le piazze sono dei parcheggi e le strade sono invivibili per chi non ha un mezzo motorizzato. Piazze e strade sono divenute paradossalmente luoghi di allontanamento. È praticamente impossibile vedere bambini giocare in piazza e gli anziani in questi luoghi sono continuamente in pericolo. Come ogni luogo della comunità, la strada e la piazza sono di tutti… così come ancora è in qualche paesino di montagna o in molte città del Sud del mondo.
8. Il diritto al selvaggio.
Anche nel cosiddetto tempo libero tutto è preorganizzato.
I parchi gioco sono programmati nei dettagli; così accade anche nei parchi delle scuole o nelle aree verdi delle città, compreso l’arredo urbano.
Ma dov’è la possibilità di costruire un luogo di rifugio gioco, dove sono i canneti e i boschetti in cui nascondersi, dove sono gli alberi su cui arrampicarsi? Il mondo è fatto di luoghi modificati dall’uomo, ma è importante che questi si compenetrino con luoghi selvaggi, lasciati al naturale.
Anche per l’infanzia.
9. Il diritto al silenzio.
I nostri occhi possono socchiudersi e così riposare, ma l’apparato auricolare è sempre aperto.
Così l’orecchio umano è sottoposto continuamente alle sollecitazioni esterne.
Mi sembra ci sia l’abitudine al rumore, alla situazione rumorosa al punto da temere il silenzio. Sempre più spesso è facile partecipare a feste di compleanno di bimbi e bimbe accompagnate da musiche assordanti. E così è anche a scuola.
L’emblema di tutto ciò è dato da coloro che si spostano alle periferie delle città, a piedi o in bicicletta, si portano nella natura per una bella passeggiata e hanno le cuffie dell’Ipod ben inserite nelle orecchie.
Perdiamo occasioni uniche: il soffio del vento, il canto degli uccelli, il gorgogliare dell’acqua. Il diritto al silenzio è educazione all’ascolto silenzioso.
10. Il diritto alle sfumature.
La città ci abitua alla luce, anche quando in natura la luce non c’è. Nelle case l’elettricità permette di vivere di notte come se fosse giorno. E così spesso non si percepisce il passaggio dall’una all’altra situazione.
Quel che più è grave è che pochi riescono a vedere il sorgere del sole o il suo tramonto. Non si percepiscono più le sfumature. Anche quando con i bambini usiamo i colori non ci ricordiamo più delle sfumature. Il pericolo è quello di vedere solo nero o bianco. Si rischia l’integralismo. In una società in cui le diversità aumentano anziché diminuire, questo atteggiamento può essere realmente pericoloso.