di Nicola Piovani
MUSICA E FELICITÀ
la fortuna di poter vivere di musica
Nicola Piovani si definisce in terza persona: «Uomo molto fortunato perché è riuscito a vivere di musica. È padre di due figli: l’impresa che gli è riuscita meglio. Non è ateo». Poi si presta a rispondere alle domande di Vanity Fair: Se non fosse diventato compositore? «Proprio non so immaginarmi diversamente. Forse sarei stato un disadattato. O magari un bravo cuoco». La bacchetta da direttore d’orchestra che oggetto è? «Un arnese molto tecnico, aiuta il braccio a dividere e suddividere i tempi di una partitura con maggiore chiarezza. Anche se Roberto Benigni la considera l’unico residuo di un passato magico di cui non abbiamo memoria, che abbiamo vissuto in qualche era preistorica: da mago, quasi». L’amicizia. «Fatta di cose profonde, sentimenti, convinzioni, chiacchiere, progetti, difficoltà private, consigli. Non c’è posto per la superficialità. Il cazzeggio, la battuta sì ma la superficialità no. E questo per me è prezioso». Gli inizi: «La domenica, con la casa che profumava di sugo; mio padre accordava il mandolino, io gli davo il la dal pianoforte». Poi organista da matrimonio, in chiesa. «Da uno specchietto retrovisore seguivo le mosse del prete officiante. In sagrestia, dove passavo a ritirare le cinquemila lire, c’era la cioccolata calda. Ricordo l’effetto commovente al primo accordo forte della Marcia nuziale di Mendelssohn». Maestro: «È parola con due valenze. Una è artigianale: il maestro falegname, carpentiere, d’armi. In questa accezione lo accetto. L’altro significato è il Maestro Profeta: cammina sulle acque, indica la strada, illumina. Quello non sono certo io».
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