La natura fonte di gioia
ma niente esagerazioni, la natura può anche rivelarsi nemica
di Hans Küng
Essere felici di molte cose, nel mio caso, significa anche provare gioia di fronte alla natura: è un’attitudine che ho preso da mia madre; sento ancora il suono della sua voce: «Guarda, che bello…». Possono essere cose molto semplici. Posso gioire davanti all’unica rosa del mio studio: quante varietà ne esistono, quanti colori e forme di petali! E osservo sempre con uguale meraviglia il ciliegio del Giappone rosa intenso che sboccia, fiorisce e appassisce davanti alla mia finestra.
In natura si trovano migliaia e migliaia di cose che possono procurare gioia alle persone, se queste lo vogliono.
Ho vissuto spesso nelle grandi città, dove la gente tutt’al più si può permettere qualche pianta d’appartamento, e la natura mi mancava molto. La natura è come il sole: una forza vitale per il benessere fisico e psichico. Dai tempi della mia gioventù lavoro il più possibile all’aria aperta. Capisco benissimo le persone che, se non hanno un giardino, ne coltivano uno sul balcone, e quelle che s’innamorano di un pezzetto di terra o di un paesaggio. Ogni giorno gioisco del panorama toccante di cui godo a Tubinga, sebbene cambi a seconda delle condizioni atmosferiche, delle stagioni e dell’ora del giorno: l’Österberg nel bel mezzo della città e il Giura svevo sullo sfondo. Lo stesso nella mia patria, in Svizzera: lo sguardo sulle Alpi e davanti, tra dolci colline, il lago di Sempach, la cui superficie obbedisce al più flebile alito di vento e rispecchia il cielo sovrastante mutando costantemente volto e atmosfere.
Ognuno ha, se le cerca, le proprie esperienze legate alla natura, che s’imprimono nel profondo della memoria. Ma, vi prego, pur con tutta la gioia del contatto con la natura, niente esagerazioni. In determinate circostanze lo stesso paesaggio può incutere paura. Quando sull’oceano infuria l’uragano o il föhn soffia rombando sulle vette delle Alpi, quando la tempesta di neve ci fischia gelida sul viso o la nebbia ci avvolge durante la discesa sugli sci o finisce l’ossigeno durante un’immersione, la natura mostra il suo altro volto, quello minaccioso, anzi talvolta spaventoso. La natura, nelle sue piccole come nelle sue grandi manifestazioni, si può rivelare amica dell’uomo ma anche sua nemica.
Nonostante tutta la gioia che provo per la natura, non posso avere un atteggiamento mistico nei suoi confronti. L’esperienza della natura non sostituisce quella di Dio. Io osservo, contemplo, rispetto e ammiro la natura, ma non credo in essa, conosco anche il suo lato oscuro. Non la trasformo in Dio, non voglio divinizzare tutte le cose, non sono un panteista.
Convinto dalle scienze naturali moderne, non perdo mai la consapevolezza che l’intera natura soggiace alle spietate leggi dell’evoluzione: la «sopravvivenza del più adatto» vale dalle molecole ai predatori. Le teorie fondamentali di Darwin hanno ricevuto conferma dalla microbiologia: ma non il darwinismo sociale, che non deriva affatto da Darwin e cerca di giustificare il capitalismo sfrenato che minaccia le nostre vite.
Non esiste purtroppo il mondo perfetto della pace tra animale e animale, tra uomo e animale. Non viviamo nel regno di Dio della fine dei tempi, quello che il profeta Isaia ha descritto nella Bibbia (11,6), dove il lupo dimora insieme con l’agnello e la pantera si sdraia accanto al capretto, dove il vitello, il giovane leone e il bestiame da ingrasso pascolano insieme sotto la guida di un fanciullo.
Pertanto non mi faccio illusioni: gli esseri viventi, sempre e ovunque, possono sopravvivere solo se nuocciono ad altri esseri viventi, anzi, solo se li distruggono. Da parte nostra, noi uomini non possiamo far altro che limitare i danni. Per quanto possibile. Niente di più e niente di meno. Non possiamo cambiare il corso del tempo. Già quando chiediamo uova o galline a buon mercato sosteniamo l’allevamento intensivo moderno.
Nonostante tutti i dubbi che nutro nei confronti di una concezione mistica della natura, riesco comunque a trovare qualcosa di buono nella «religiosità cosmica» di Albert Einstein che «si distingue da quella dell’uomo semplice»: «Quale gioia profonda a cospetto dell’edificio del mondo e quale ardente desiderio di conoscere sia pure limitato a qualche debole raggio dello splendore rivelato dall’ordine mirabile dell’universo dovevano possedere Keplero e Newton, per aver potuto, in un solitario lavoro di lunghi anni, svelare il meccanismo celeste» (Religione e scienza, 1930).
Fede nella razionalità dell’universo, dunque, desiderio di conoscere.
«Soltanto colui che ha consacrato la propria vita a propositi analoghi» continua Einstein «può formarsi una immagine viva di ciò che ha animato questi uomini e di ciò che ha dato loro la forza di restare fedeli al loro obiettivo nonostante gli insuccessi innumerevoli. È la religiosità cosmica che prodiga simili forze».
HANS KÜNG (1928 - 2021) Svizzero, dopo il liceo a Lucerna, si trasferisce a Roma dove si laurea in filosofia e teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e viene ordinato sacerdote nel 1954. Conseguito il Dottorato in teologia presso l'Institut Catholique di Parigi, nel 1960 è nominato professore ordinario di Teologia cattolica all’università di Tubinga, in Germania. Partecipa come esperto al concilio Vaticano II. Dal 1970, con il libro Infallibile? inizia a esporre critiche verso il dogma dell’infallibilità papale e il culto mariano, che nel 1979 gli costano la sospensione dall’insegnamento della teologia cattolica. Ha continuato a insegnare presso l’Istituto per la ricerca ecumenica di Tubinga da lui fondato fino al pensionamento nel 1996. Il testo che pubblichiamo è estratto da Ciò che credo (collana “Maestri dello Spirito” curata da Vito Mancuso).