LEGGERSI DENTRO, ALLA LUCE DELLA BIBBIA
I RACCONTI DELLA VITA DI ABRAMO
3. Genesi 11,24-32
Vi invitiamo ad aprire personalmente la Bibbia, leggere il brano con pazienza e provare a riflettere e interrogarlo. Per questo indichiamo il testo senza trascriverlo.
Spunti di riflessione:
Attraverso la lettura del cap. 11 siamo giunti ai versetti in cui viene presentata la famiglia di Abram. Abram e non ancora Abramo, è il figlio primogenito di Terach.
Suo fratello Nacor, porta il nome del nonno. Per la prima volta il nome di antenato si ripete. Forse, Nacor il nonno, è morto prima della nascita del nipote?
Anche Aran il fratello minore di Abram muore giovane, prima di Terach loro padre.
Scopriamo che l’ambiente familiare nel quale Abram nasce e cresce è complesso. Non privo di sofferenza e di difficili dinamiche relazionali, così come si presenta ogni famiglia umana quando la si conosce più da vicino. Per questo, prima ancora di iniziare a conoscerlo, Abram c’ispira simpatia.
Alcuni studiosi interpretano il nome ebraico Abram col significato di Padre alto o Padre elevato.
Il testo nel versetto 31, sembra confermare il forte legame tra Abram e Terach. Abram viene sempre nominato come Abram suo figlio. Il posto di figlio, esprime l’intera sua identità.
Come in un crescendo il testo ci fa intuire quando imponente ed ingombrante si manifesti questa presenza di padre, cui forse è legata anche la morte prematura del figlio più piccolo.
Un padre che si eleva, che si fa un nome: sembra riecheggiare ancora l’episodio della torre di Babele-Babilonia. E in effetti il paese in cui abitano è Ur dei Caldei e i Caldei sono il popolo che abita a Babilonia.
Terach sembra intuire che qualcosa non va e decide di partire. Parte, ma senza la consapevolezza di essere lui la fonte principale del disagio, porta con sè il peso del problema e non potrà camminare a lungo. Si fermerà a Carran, nome somigliante ad Aran, il figlio morto.
Ancora qualcosa si ripete, facendo tornare indietro, nonostante il desiderio di andare avanti.
L’elenco delle persone che partono Terach sembrano tutte legate a lui da uno stretto cordone ombelicale. Nessuna traccia di un’altra figura materna. Con Abram suo figlio, partono Lot figlio di Aran, cioè figlio di suo figlio e Sarai, moglie di Abram suo figlio, che è sterile.
Non abbiamo ancora incontrato Sarai, non ancora Sara, ma questa sua sterilità comincia a delineare i suoi contorni e non ci stupisce più. La vita di questa famiglia è malata, le radici risalgono lontano.
Forse che Dio non veda dall’alto e non decida ancora una volta, come a Babele, come in Egitto, di scendere ad indicare la via della Vita?
Per approfondire:
MARIE BALMARY, Il sacrificio interdetto, Queriniana, Brescia, 1991, pp.124-128.
ANDRE WENIN, Da Adamo ad Abramo o l’errare dell’uomo, EDB, Bologna, 2008, pp.164-169.
Invito alla preghiera:
CREDO
nell’uomo quale immagine di Dio.
Credo nello sforzo dell’uomo,
credo negli uomini, nel loro pensiero,
nella loro sterminata fatica che ha fatto quello che sono.
Credo nella vita,
non prestito effimero dominato dalla morte,
ma dono definitivo.
Credo nella vita
come possibilità illimitata di elevazione e di sublimazione.
Credo nella gioia,
la gioia di ogni stagione, di ogni tappa,
di ogni aurora, di ogni tramonto,
di ogni volto, di ogni raggio di luce
che parta dal cervello, dai sensi, dal cuore.
Credo nella gioia dell’amicizia,
nella fedeltà e nella parola degli uomini.
Credo in me stesso, nelle capacità che Dio mi ha conferito,
perché posso sperimentare la più grande tra le gioie,
che è quella del donare e del donarsi.
In questa fede voglio vivere,
per questa fede voglio lottare
e con questa fede voglio addormentarmi
in attesa del grande, gioioso risveglio. Amen
Giulio Bevilacqua (1881-1965) cardinale,
sacerdote dell’ordine di San Filippo Neri
Dal libro preghiere di Ore Undici
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